Raccontare la realtà con il suono

Il radio documentario per la prima volta ospite a IsReal, Festival del Cinema del reale a Nuoro dal 7 al 12 Maggio.

Il suono di un canto, di un passo sicuro, di un vento gelido, di una voce nel cuore della montagna. La realtà si racconta anche ascoltandola o facendola ascoltare.
La quarta edizione del Festival Is Real offre per la prima volta uno spazio al linguaggio del radio documentario e al racconto orale della realtà.

Due gli appuntamenti all’interno della programmazione del festival:

Venerdì 10 maggio, alle ore 11:00, presso l’Auditorium del Museo Etnografico Sardo,
Daria Corrias, curatrice del programma di Rai Radio3 Tre Soldi, terrà un incontro dal titolo “Raccontare con il suono: breve storia del radio documentario in Italia”, per scoprire meglio di cosa parliamo quando parliamo di radio documentario.

Sabato 11 Maggio, alle ore 12:00, presso l’Auditorium Giovanni Lilliu,
ascolto in sala de “Il Sottosopra” di Gianluca Stazi e Giuseppe Casu in collaborazione con i minatori del Sulcis Iglesiente.
Il radio documentario, prodotto da Tratti Documentari e Rai Radio 3 ha vinto i prestigiosi premi internazionali Prix Italia e Prix Europa nel 2018, come miglior radio documentario dell’anno. L’ascolto in sala sarà in lingua originale con sottotitoli in inglese grazie alla collaborazione con Radio Atlas, piattaforma dedicata all’ascolto dei migliori documentari radiofonici internazionali.

Per info: daria.corrias@gmail.com e info@tratti.org

Comunicato: Isreal_RadioDoc

L’audio documentario “The Upside Down” (titolo originale Il Sottosopra)
di Gianluca Stazi e Giuseppe Casu, in collaborazione con i minatori del Sulcis-Iglesiente,
a cura di Daria Corrias e Fabiana Carobolante per Tre Soldi – Radio3 Rai,
ha vinto il PRIX EUROPA 2018 come Best European Radio Documentary.

Si tratta della maggiore competizione europea per Tv, Radio, Web. Non era mai accaduto, nei 31 anni del Premio, a un programma di Radio Rai e non era mai successo che lo stesso progetto vincesse l’internazionale Prix Italia, assegnato a Capri il 28 settembre scorso, e il Prix Europa, assegnato a Berlino il 19 ottobre scorso.

Questa la motivazione che la giuria del Prix Europa ha dato nell’aggiudicare la vittoria al documentario:

“Ten years of work produced this timeless story, about the dignity and spirituality of work.
Patiently, it leads us deep into the recesses of the natural world and the human soul.
We heard a real musical experience composed of natural sounds and peoples’ memories, all told with great tenderness.
The documentary turned our preconceptions of this typical social subject upside down with its sense of humanity and poetry.  
It was a big story from a hole in the mountain.”

Il Sottosopra
Regia: Gianluca Stazi e Giuseppe Casu
Suono: Gianluca Stazi
Commissioning editor: Daria Corrias e Fabiana Carobolante per Tre Soldi – Radio3 Rai
Produzione: Tratti Documentari
Coproduzione: Rai Radio3

Anno di produzione: 2018
Data messa in onda: 30/4/2018
Lingua: Italiano

Durata: 45′

Un’idea, un’avventura, un pensiero, una fissazione, un’ossessione.
Nodi, barche, tonnarotti, sveglie molto, molto prima dell’alba.
Un capo assoluto, il Ràis. Una ciurma di 21 tonnarotti, un po’ uomini e un po’ pirati. Un lavoro da compiere.
Vento e sole, calma piatta e improvvise accelerazioni, fatiche e riposi.
Un lungo respiro, ascolto e profonda osservazione.

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Il presagio del ragno
regia Giuseppe Casu
montaggio Aline Hervé
suono Gianluca Stazi
fotografia Giuseppe Casu e Nanni Pintori
color correction Ercole Cosmi
musica Difondo e Iosonouncane
interpreti Il Ràis e i tonnarotti della Punta

una produzione Sitpuntocom e ISRE Istituto Etnografico della Sardegna
con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission, Regione Autonoma della Sardegna, Fabbrica del Cinema – Carbonia, Celcam

produttore esecutivo Tratti Documentari

durata 65′
anno di produzione 2015

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Sinossi
Reti, zavorre, cavi e ancore. Sguardi, gesti, silenzi e risa. Attesa paziente e sforzo finale. Nel respiro di un tempo senza tempo…
Tra terra e mare un nucleo compatto di uomini configura la trama di un’avventura che perdura da sempre: la pesca del tonno rosso. Ultimi interpreti di una millenaria tradizione, radicalmente estranei alle dominanti procedure di cattura industriale di questa pregiata risorsa, dischiudono con i toni e i timbri del loro sapiente lavoro un intenso squarcio sulla relazione insidiosa tra locale e globale. Parlando la lingua trasparente di un’autentica sostenibilità a fronte del cieco avanzare di un disegno di sviluppo sempre più intollerabilmente iniquo.

La tonnara fissa
Un tempo la tonnara fissa era il principale sistema di
pesca del tonno rosso. La pesca in tonnara è stagionale: le operazioni, che durano in genere da febbraio a luglio, sono eseguite da un gruppo di uomini, i tonnarotti, guidati dal Ràis, capo assoluto e responsabile dell’andamento della stagione di pesca.
Evolutasi nel Mediterraneo a partire da più semplici sistemi di pesca, la tonnara è un’elaborata trappola (“isola”) fissata in mare aperto e collegata perpendicolarmente alla costa da una lunga rete (“coda”).
Tra maggio e giugno, i tonni rossi convergono verso il Golfo del Messico e il Mediterraneo, dove corrono lungo le acque tiepide delle coste per riprodursi. La “coda” intercetta una parte dei banchi e li convoglia verso l’”isola”: questa è la trappola vera e propria, una complessa costruzione di reti che formano una struttura rettangolare, divisa in grandi “camere” per catturare, controllare e dirigere i tonni verso la fase finale della pesca.
Al momento opportuno, il Ràis ordina il passaggio dei tonni da una camera alle successive, aprendo le reti mobili che le separano, le “porte”.
L’ultima è la camera della morte, l’unica dotata di una rete anche sul fondo. Sollevandola, i tonni vengono portati a galla e uccisi nella catarsi finale della pesca, la mattanza.
50 anni fa i sistemi di pesca industriale, basati sull’avvistamento col radar e la cattura dei banchi di tonni in alto mare, fanno la loro comparsa nel Mediterraneo e iniziano a depredare le ultime riserve mondiali di tonno rosso.

L’ICCAT è l’organizzazione intergovernativa nata negli anni ’60 dopo il collasso delle riserve di tonno rosso nelle coste del Brasile e nel Mare del Nord, per dar vita alla Convenzione Internazionale per la Conservazione del Tonno Rosso. L’ICCAT compila statistiche, analizza e pubblica i risultati sullo stato di salute della pesca del tonno rosso, pubblica le raccomandazioni scientifiche agli stati membri su come meglio gestire questa pesca.
Il problema che mina l’efficacia delle sue risoluzioni sta nella mancata affidabilità dei dati di cattura registrati da ogni stato membro, alla base di ogni considerazione scientifica conseguente. In primo luogo, in ragione della salute delle riserve mondiali di tonno rosso, l’ICCAT fissa annualmente la quantità mondiale massima tollerabile di cattura, assegnando a ogni paese membro la quantità totale ammissibile di cattura (TAC) a lui riservata. Ogni paese, sulla base delle proprie scelte politiche, suddivide il suo TAC tra i vari sistemi di pesca attivi, fino al dettaglio per ogni singolo operatore.
Nel 2015, il TAC riservato all’Italia è di 2.302,80 tonnellate e il governo italiano ha deciso di destinare al sistema tonnara fissa l’8,45% del TAC, contro 87,89% destinato ai sistemi di pesca industriale in alto mare: Palangaro e Circuizione. In Italia dunque le tonnare fisse ammesse a partecipare alla campagna di pesca 2015 sono tre: Isola Piana a Carloforte, Capo Altano e Porto Paglia a Portoscuso, Sardegna sud-occidentale. Nello stesso specchio d’acqua, tre tonnare per sole due ciurme, comandate dagli ultimi due ràis: Luigi ed Ettore, fratelli e figli d’arte.

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Note di regia
Tutto è partito dalla necessità di entrare in un mondo diverso dal mio, una dimensione diversa dalla mia, che procede con le sue regole e i suoi tempi. Avevo in mente le mattanze girate da Rossellini e da De Seta, pure icone. Mi chiedevo: cosa resta oggi delle tonnare? Mi ci sono tuffato dentro, senza difese, come un corpo estraneo, con un forte rischio di rigetto.
Sulla banchina, un portale dà su un grande piazzale lastricato di pietra vulcanica. Sull’angolo a sinistra brilla uno specchio appeso al muro, sopra un lavello oblungo, mi immagino pescatori barbuti che si rasano con la pipa in bocca… Da lì dietro esce un uomo dal fisico massiccio, occhiali da sole scuri, che avanza verso di me. E’ il rais, Luigi, mi offre una stretta di mano vigorosa e un sorriso sicuro di sé. Mi dice, con l’aria divertita: “Ma per caso sei animalista?”. Gli rispondo: “Diciamo piuttosto che sono… animale!”. Ride: “Noi siamo sempre qui, fino a luglio, vieni quando vuoi”.
In tonnara c’è solo il presente: il passato è rimosso, le tensioni verso il futuro abolite. Un mondo rude, sensazioni semplici e pungenti – caldo, spossatezza, pericolo, fame, paura – che mi ripuliscono. Alla fine resta il bianco e nero, regna la luce, i contrasti, i riflessi; l’inquadratura si fissa sui gesti del lavoro; le parole sono rare, quasi assenti. Un cinema primitivo, in qualche modo.
Nodi per cucire le reti tra loro, altri nodi per fissarle alla catena rugginosa destinata al fondo del mare. A terra, il suolo è cosparso di vecchie cime, maglie di catene, frammenti di cavi che si contorcono in vecchi nodi sfilacciati, souvenir delle passate stagioni in tonnara.
Nodi che misurano la velocità in mare, ma anche la velocità della vita in tonnara, rallentata dall’inerzia della natura, dal peso del presente che a volte rende le giornate interminabili.

Tonni
La mattanza di Rossellini e di De Seta non esiste più. I tonni catturati sono venduti vivi, trasferiti in una gabbia e trainati in acque lontane, nelle ranching farm, dove vengono ingrassati in cattività. Solo mesi dopo, saranno uccisi, congelati e spediti via aereo nell’est asiatico. Qui vengono battuti all’asta e consumati come cibo di lusso, a 10.000 kilometri di distanza da quelle popolazioni costiere dove sono stati catturati e di cui furono un tempo una fondamentale risorsa alimentare ed economica.

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un audio documentario di Ornella Bellucci

con: Xhiko Mukaj, Ermal Rapushi, Lisa Çala, Piero Pugliese, Alessandro Leogrande

montaggio e mix: Gianluca Stazi
produzione: Tratti Documentari

traduzioni: Irida Çami e Coralie Bidault

Durata: 22′

 

La sera del Venerdì santo del 1997, una piccola imbarcazione albanese stracarica di profughi, la Kater I Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana al largo delle coste pugliesi. È uno dei più gravi naufragi della storia recente del Mediterraneo: muoiono 81 persone, in gran parte donne e bambini. Molti corpi non verranno mai recuperati, i sopravvissuti sono solo 34.
Il naufragio della Kater I Rades, avvenuto in quel lembo di mare che separa l’Italia dall’Albania, mentre nel piccolo paese balcanico infuriava una sanguinosa guerra civile, segna uno spartiacque nella percezione dei viaggi dei migranti. Per la prima volta, l’applicazione delle politiche di respingimento in alto mare provoca un immane disastro. Un disastro politico, non naturale.
Un lungo processo ha provato a ristabilire la verità, cosa sia effettivamente accaduto la sera del 28 marzo del 1997. Tra mille ombre e depistaggi, un briciolo di verità è stato ristabilito. È stato condannato il comandante della corvetta italiana, è stato stabilita la dinamica dell’impatto (in seguito a un lungo, estenuante inseguimento della carretta del mare da parte di una nave molto più grande), almeno in parte è stato smontato il muro di gomma eretto dai militari. Tuttavia è stato impossibile stabilire la responsabilità (pure evidente) degli alti vertici della Marina che hanno impartito gli ordini di harassment, cioè di “disturbo intenzionale” della navigazione di una imbarcazione di civili che scappavano da un conflitto. Non è stato possibile farlo, perché molte prove sono letteralmente “scomparse”.
Di fronte a questa triste vicenda in cui scompaiono dei corpi, e allo stesso tempo la verità circa la loro morte, l’unica operazione dignitosa è quella di provare a ricostruire come sono andate le cose. Non solo: è importante ricostruire la vita delle persone che erano sulla Kater i Rades. Le voci dei sopravvissuti, il dolore dei parenti, le storie minute di chi fuggiva, i loro sogni, i loro desideri, la loro percezione dell’Italia, del rumore del mare, degli ordini della Marina militare.
Da allora sia l’Albania che l’Italia sono molto mutate. I viaggi dei migranti seguono la rotta Nord Africa-Lampedusa. Non più quella che dall’Albania va verso Otranto e il Salento. Benché l’immigrazione sia tuttora l’evento sociale più importante della nostra contemporaneità, una spessa patina di oblio ricopre ciò che accaduto negli anni novanta, quando tutto cioè ha avuto origine in forme più massicce rispetto ai decenni precedenti.
Per questo, ricordare un evento del genere, farlo rivivere ora, a tanti anni di distanza, vuol dire far irrompere quel passato nel nostro presente per meglio comprendere entrambi. Allo stesso tempo raccontare le storie delle vittime, vuol dire ricostruire la loro dimensione umana, vittima – al di là del naufragio – di una intensa opera di disumanizzazione, che incomincia proprio con il negare la complessità delle loro esistenze, riducendole a meri numeri all’interno dei flussi migratori.

Alessandro Leogrande

Kater I Rades

L’audio documentario “Kater I Rades” è stato presentato in anteprima al festival Teatri di Vetro 7
ed è liberamente tratto dal reportage “Kater I Rades, il naufragio che nessuno ricorda” di Ornella Bellucci, trasmesso da Rai Radio3 dal 26 al 30 marzo 2012.

I testi relativi alle comunicazioni intercorse tra i comandi di terra e le navi impiegate nel Canale d’Otranto il 28 marzo 1997
sono tratti da Il naufragio. Morte nel Mediterraneo” di Alessandro Leogrande (Feltrinelli 2011),
Premio Ryszard Kapuściński, Premio Paolo Volponi e Premio Marincovich.

Gli inserti processuali sono attinti dall’archivio sonoro di Radio Radicale.

Dans la soirée du Vendredi Saint 1997, une petite embarcation albanaise remplie de refugiés, le Kater I Rades, est éperonnée par une corvette de la Marine militaire italienne au large des côtes des Pouilles. C’est l’un des naufrages les plus graves de l’histoire récente de la Méditerranée : 81 personnes meurent, en grande partie des femmes et des enfants. Beaucoup de corps ne seront jamais retrouvés, il n’y a que 34 survivants.
Le naufrage du Kater I Rades, qui s’est produit dans cette langue de mer s’éparant l’Italie de l’Albanie, alors qu’une guerre civile sanglante sévissait dans le petit pays balkanique, marque un tournant dans la perception des voyages des migrants. Pour la première fois, l’application des politiques de refoulement en haute mer provoque une effroyable catastrophe. Une catastrophe politique, pas naturelle.
Un long procès a essayé de rétablir la vérité, sur ce qui s’est effectivement passé la soirée du 28 mars 1997. Entre zones d’ombre et manipulations, un brin de vérité a été rétabli. Le commandant de la corvette italienne a été condamné, la dynamique de la collision (à la suite d’une longue et exténuante poursuite du vieux rafiot par un navire beaucoup plus grand), le mur d’indifférence érigé par les militaires a été, au moins en partie, démantelé. Toutefois, il a été impossible d’établir la responsabilité (quoiqu’évidente) des hautes sphères de la Marine qui ont donné les ordres d’harassment, à savoir de “gêne intentionnelle” de la navigation d’une embarcation de civils fuyant un conflit. Il n’a pas été possible de le faire parce que de nombreuses preuves ont littéralement “disparu”.
Face à cette triste affaire, où des corps disparaissent, en même temps que la vérité concernant leur mort, la seule attitude convenable est d’essayer de reconstruire comment les choses se sont produites. Non seulement cela, mais il est également important de reconstruire la vie des gens qui étaient sur le Kater I Rades. Les voix des survivants, la douleur des proches, les histoires détaillées de ceux qui fuyaient, leurs rêves, leurs désirs, leur perception de l’Italie, le bruit de la mer, des ordres de la Marine militaire.
Depuis lors, l’Albanie comme l’Italie ont beaucoup changé. Les voyages des migrants empruntent la route Nord Afrique-Lampedusa et, non plus celle qui, de l’Albanie va vers Otrante et le Salento. Bien que l’immigration soit aujourd’hui encore l’évènement social le plus important de notre contemporanéité, une épaisse patine d’oubli recouvre ce qui s’est produit dans les années quatre-vingt-dix, alors que tout ceci avait lieu de façon plus massive que lors des décennies précédentes.
C’est pourquoi, se rappeler un tel évènement, le faire revivre maintenant, après tant d’années, signifie faire rejaillir ce passé dans notre présent pour mieux comprendre l’un et l’autre. Raconter les histoires des victimes, signifie également, reconstruire leur dimension humaine, victime –par-delà le naufrage– d’une importante œuvre de deshumanisation, qui commence justement par la négation de la complexité de leur existence, en les réduisant à de simples numéros à l’intérieur des flux migratoires.

réalisation: Ornella Bellucci
montage et mixage son: Gianluca Stazi
production: Tratti Documentari

Documentaire – 2013 – Italy – 22’

Kater I Rades: Script


Link:
NEWS: Kater I Rades
PROGETTO: Racconti Invisibili

un audio documentario di Ornella Bellucci

scrittura: Ornella Bellucci e Gianluca Stazi
montaggio e mix: Gianluca Stazi
produzione: Tratti Documentari

Durata: 18′

 

Ho cominciato a occuparmi dell’Ilva di Taranto nel ’97, a due anni dalla privatizzazione dello stabilimento, svenduto dall’IRI al gruppo Riva dopo oltre vent’anni di gestione pubblica.
La fabbrica di Stato era un’altra cosa: le assunzioni erano a tempo indeterminato, i lavoratori venivano addestrati alla sicurezza, il sindacato era presente. Gli infortuni, i morti sono stati meno, molti meno, di quelli prodotti fin qui dalla gestione Riva. Le malattie professionali, che allora hanno cominciato a insidiare i lavoratori, sono emerse dopo.
Oggi a Taranto il lavoro si concentra ancora nel siderurgico. Vi sono impiegati gli allora giovani che hanno dato il cambio ai padri, incontrando un destino più amaro: contrattuale e di sopravvivenza, all’interno e all’esterno dello stabilimento. Lavoratori tenuti sotto scacco con contratti capestro, mai formati alla sicurezza, riluttanti a contatti con le organizzazioni sindacali (tranne quelle filo-padronali, dall’era Riva maggioritarie in fabbrica). Anni duri, in cui il sindacato – la Fiom Cgil in particolare – è stato presente più di oggi alle loro istanze. E alle prime “storture”, anche certo ambientalismo ha preso a muoversi. Queste parti sociali, negli anni, non hanno coagulato proposte d’insieme: il binomio lavoro-ambiente è difficile da difendere. Anche se il lavoro è precario, invalidante, mortale. E l’ambiente avvelenato, violentato dai costi di quel lavoro. Che però frutta, e molto, alla proprietà. Il gruppo Riva è tra i maggiori produttori dell’acciaio mondiale, ha stabilimenti in tutto il globo. Dal solo sito tarantino – oltre 12 mila dipendenti, e circa 3mila nell’indotto – cava il 70 per cento della produzione: dieci milioni di tonnellate d’acciaio l’anno, più o meno. È tra i maggiori stabilimenti siderurgici europei, oggi sotto accusa per, semplificando, “disastro ambientale”. L’aumento di patologie correlate all’inquinamento prodotto dall’Ilva a Taranto e provincia è vertiginoso, ben oltre la media nazionale. E non risparmia bambini e nascituri.
Era il 2 agosto scorso, a giorni dal sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva, quando Taranto – quella Taranto fin lì senza collante, invisibile – è scesa in piazza. C’era stata, sì, la chiamata dei sindacati. E anche gli ambientalisti avevano fatto la loro parte. Ma molte sono state le adesioni personali o poco di più, a quel moto improvviso – di storie, di rabbia – che chiedeva, consapevolmente, la stessa cittadinanza per diritti del lavoro e dell’ambiente. Un moto che, fuori dalla chiamata degli organizzatori e lontano da sigle, si è trovato incanalato nei due cortei – uno per i dipendenti Ilva, l’altro per i lavoratori dell’indotto – sciolti in piazza della Vittoria. Lì i segretari sindacali avrebbero dovuto tenere il comizio, aperto a politici e ambientalisti.

Ornella Bellucci

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“Ilva, c’era una rivolta” è stato presentato in anteprima al festival Teatri di Vetro 7 ed è liberamente tratto dal reportage “Ilva, tra lavoro e ambiente” di Ornella Bellucci, trasmesso da Rai Radio3 dal 15 al 19 ottobre 2012.

Ascolti collettivi:
Roma – Teatri di vetro 7 – 26 aprile 2013
Bellaria – Bellaria Film Festival – 1 giugno 2013
Venezia – Goletta verde – 22 maggio 2013
Roma – Isola del cinema – 4 agosto 2013

Link:
NEWS: Ilva, c’era una rivolta
PROGETTO: Racconti Invisibili

Buonasera mi chiamo Nicola Franco, sono di Taranto. Ho qualcosa da dirvi, in merito a quel problema che è su tutte le bocche degli uomini al momento, quello che si dice in giro, e che è la mancanza di lavoro, la disoccupazione, l’inquinamento e chi più ne ha più ne metta. Anzi a dirla con parole mie, a tutti quanti, tutti quanti: vi stanno portando alla miseria… alla povertà estrema. Tutta la colpa è ’a nostra, cioè ’a nostra… ’A vostra, ’a vostra, perché io non voto, questo è il fatto, io non voto. Lo sai perché non voto? Io sono un pericolo pubblico.

Tratti Documentari è lieta di pubblicare “Il buco nel mare”
audio documentario di Ornella Bellucci,
rielaborato per la sezione “Racconti Invisibili” del Festival Teatri di Vetro (tdv7)

Crediti
con: Nicola Franco e Patrizia Fedele
regia: Ornella Bellucci
montaggio e mix: Gianluca Stazi
musica: Andreas Bennetzen
produzione: Tratti Documentari

Il brano “Half Jazz” è composto da Andreas Bennetzen ed eseguito da Andy Benz.

La fotografia “Alba a Mar Piccolo” è di Sabatino Di Giuliano (Taranto).

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Contestualmente “Lo straniero“, rivista di arte, cultura, scienza e società diretta da Goffredo Fofi, ospita, nella neonata sezione racconti, l’elaborazione in parola scritta de “Il buco nel mare”.

Il testo pubblicato integra due versioni del lavoro, una apparsa sul sito Audiodoc, associazione di audio documentaristi,
l’altra presentata al Festival Teatri di Vetro 7.
Segno che è possibile per una scrittura audio attraversare più linguaggi, restando quel che è, ma anche scoprendosi altro da sé.

Salve mi chiamo Nicola Franco, sono di Taranto. Ho da dirvi una cosa che a tutti quanti credo piacerà: sono un inventore. Vabbè, si dirà, tutti quanti sono inventori, ci sono quelli che fanno le invenzioni, ma io mi sono inventato un’altra cosa rispetto agli altri. Sapete che mi sono inventato? Il buco nel mare. Cosa sarebbe il buco nel mare? Sarebbe un discorso quantomeno da essere ricoverati se lo sentiamo come avviene sto’ fatto qua. Perché è come… Senti, un attimo, ferma.

Io c’avrei da dire un sacco di cose effettivamente diciamo quantomeno da scrostare le coscienze della gente, visto che parlo di un argomento abbastanza serio. La fame. Credo che sia serio, fino a prova contraria.

Mi chiamo Nicola Franco e mi presento a voi in maniera quantomeno, come dire…
La moglie: Aspe’, abbiamo capito.
Aspetta, no, ce l’avevo scritto.
La moglie: Ah, pure?
Eh, sì. Perché non è facile.
Voglio presentarmi a voi in maniera quanto mai insolita, ciò è dovuto al fatto che quello che ho da dirvi vi sembrerà strano, e susciterà uno stupore, quantomeno incredulo, ma posso assicurarvi che è tutto vero e palpabile. Ciò è tutto vero comunque. L’oggetto del nostro campo è il mare. È risaputo da tutti gli addetti ai lavori che in futuro il mare sarà la fonte da cui tra r re sempre maggior nutrimento, difatti i luminari della biologia marina da qualche anno hanno iniziato gli studi, non solo nel nostro paese ma anche all’estero, affinché si trovino soluzioni per economizzare tutto il processo che riguarda, oltre all’alimentazione, anche il modo di allevare i pesci.
Voglio diciamo…
La moglie: L’erba voglio non cresce da nessuna parte.
E infatti, io desidero…

Ti stai presentando. Ma tu chi sei? E perché io dovrei ascoltarti?

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Link:
teatri di vetro
lo straniero
gianluca stazi
andreas bennetzen
sabasan.com
audio doc

Ascolto collettivo dell’audio documentario “Ilva, c’era una rivolta
a bordo di Goletta Verde Legambiente Venezia

Isola della Certosa, Venezia

mercoledì 22 maggio, ore 18:00

La serata sarà presentata dalle socie Audiodoc: Marzia Ciamponi e Elisabetta Ranieri.
L’autrice, Ornella Bellucci, interverrà telefonicamente al termine dell’ascolto. 


Link:
Audiodoc
Goletta Verde Legambiente Venezia

TRAILER: Ilva, c’era una rivolta
NEWS: Ilva, c’era una rivolta
PROGETTO: Racconti Invisibili

Sabato 18 maggio a Firenze, durante Terra futura, c’è stata la proclamazione dei vincitori della prima edizione del Premio giornalistico Sabrina Sganga “Questione di stili”:

Menzione Speciale a Gianluca Stazi
per l’opera “Abruxia

Per la cura e la qualità redazionale ed editoriale che rendono il lavoro documentario fortemente evocativo e di grande impatto. Le battaglie sindacali dei minatori della SIM del gruppo ENI, sono ricordate nel viaggio attraverso le gallerie allagate e i resti dei villaggi minerari, in un racconto denso di emozioni e ben articolato che fanno dell’opera un lavoro di grande pregio.

Consegna la menzione Vera Sganga.

PremioSabrinaSgangaAbruxia

Menzione Speciale a Daria Corrias
Per l’opera “Madrid Rìo: un progetto di trasformazione urbana

per la scelta di documentare in modo dettagliato ed efficace una buona pratica urbanistica di una grande città nonché per aver allargato lo sguardo e gli orizzonti di riflessione in ambito europeo.

Consegna la menzione Ludovico Guarnieri

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La giuria del premio Sabrina Sganga Questione di stili
ha ritenuto di attribuire il premio 2013 per la miglior trasmissione radiofonica
ad Andrea Tornago per l’opera “L’ex cava Piccinelli, una minaccia dimenticata

L’inchiesta giornalistica che racconta la storia della cava dismessa a Brescia contenente materiale radioattivo che potrebbe aver inquinato la falda acquifera della città.

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Presidente della giuria:
Francuccio Gesualdi,
Centro nuovo modello di sviluppo

Membri della giuria:
Massimo Cirri, Caterpillar, Radio2
Danilo De Biasio, Radio Popolare
Stefano Floris, insegnante, collaboratore di Sabrina Sganga a Controradio, socio fondatore coop. MAG Firenze
Ludovico Guarneri, scrittore, narratore della medicina olistica
Camilla Lattanzi, autrice radiofonica, collaboratrice di Sabrina Sganga a Controradio, attivista
Luigi Lombardi Vallauri, filosofo del diritto, esperto di diritti degli animali
Francesco Meneguzzo, scienziato, ricercatore del Cnr
Vera Sganga, naturopata
Angela Terzani, scrittrice
Sandro Veronesi, scrittore
Raffaele Palumbo, giornalista di Controradio

Link:
Le foto della cerimonia di premiazione “Questione di stili”
www.premiosabrinasganga.it
www.controradio.it
radio popolare network
www.terrafutura.it