Si tiene dall’8 all’11 marzo, con un’anteprima a Cagliari il 6 marzo, la prima edizione di Across the Vision Film Festival, festival internazionale di cinema di confine, sostenuto dalla Regione Sardegna e dal Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna, con il Patrocinio della Provincia di Carbonia e Iglesias, del Comune di Cagliari, del Comune di Carbonia, del Comune di Iglesias, che si tiene tra Cagliari, il Cineworld e la Sala Lepori di Iglesias e il Museo del Carbone di Carbonia nel Parco Geominerario Storico e Ambientale del Sulcis – luogo dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità. Il festival, con la direzione artistica di Maria Paola Zedda, avrà come tema l’attraversamento.

Il se déroule du 8 au 11 Mars, avec une avant-première à Cagliari le 6 Mars, la première édition de ACROSS THE VISION FILM FESTIVAL, Festival International de Cinéma de frontière, soutenue par la Région Sardaigne et le Parc Geominerario de la Sardaigne, sous le patronage de la province de Carbonia et Iglesias, la ville de Cagliari, la ville de Carbonia, la ville d’Iglesias. Les projections ont eu lieu à Cagliari, le Cineworld et la salle Lepori à Iglesias et au Musée du Charbon de Carbonia, dans le Parc Geominier, déclaré par l’UNESCO patrimoine de l’humanité. Le festival, sous la direction artistique de Maria Paola Zedda, mettra l’accent sur la traversée.

acrossthevisionfilmfestival.org

9 Marzo
IGLESIAS – CINEWORLD
H 19.00
ANTONINA
audio documentario di Giuseppe Casu e Gianluca Stazi
con Manlio Massole e Silvestro Papinuto
e la preziosa collaborazione di Paolo Ferri

audio documentaire de Giuseppe Casu et Gianluca Stazi
avec Manlio Massole et Silvestro Papinuto
et l’aide précieuse de Paolo Ferri

Incontro con Silvestro Papinuto.

“La chiamo babbo la miniera, la chiamo padre perché mi ha dato da mangiare, mi ha dato da vivere, la miniera, mi ha insegnato a vivere, il babbo non ti coccola, il padre non ti coccola, ti pesta, se fai una cosa che non va bene ti rimprovera e la miniera è lo stesso, stai attento, devi rigare dritto, perché se non righi dritto quella ti fa male; politicamente, mi ha insegnato tante cose, mi ha dato tutto quello che mi serviva e perciò la chiamo padre.
Nos narraus unu fueddu: a ki mi ‘ona pani du tzerriaus babbu.
Chi mi dà pane lo chiamiamo babbo.”

Sardaigne, projet : «Mines».

Rencontre avec Silvestro Papinuto

Incontro con Manlio Massole.

“Descrivere la miniera è difficilissimo e dall’esterno non lo si può fare; per capire la miniera bisogna esserci dentro con i minatori che lavorano, ed è praticamente indescrivibile perché bisognerebbe descrivere il vuoto della montagna, il vuoto creato dal minatore nella montagna; c’è vuoto, in miniera, e buio e poi c’è il minatore; essere minatore più che un mestiere è uno stato d’animo, è un modo di essere; una volta che si va in miniera, o la si rifiuta immediatamente e si scappa dalla miniera perché è un mondo assurdo, oppure stranamente ci si innamora della miniera e si sente l’orgoglio di essere minatore; questo orgoglio è dato dai tanti pericoli che si affrontano in miniera e che l’uomo diventato minatore riesce a superare, ma vincendo se stesso però… l’ego, l’io, non esiste in miniera, in miniera esiste il noi; si ha una necessità continua dell’altro, raramente un minatore dice: io, io, io. Noi, noi, noi.“

Sardaigne, projet : «Mines».

Rencontre avec Manlio Massole.

La storia dell’estrazione dei metalli in Sardegna, e dunque del lavoro in miniera, rimonta a epoche molto lontane. I commercianti avevano l’abitudine di frequentare le coste dell’isola, attirati dalle ricchezze del sottosuolo sardo. La lunga storia mineraria della Sardegna ha inizio verosimilmente intorno al sesto millennio a.C. con l’attività di estrazione dell’ossidiana, alle pendici del Monte Arci, nella parte centro-occidentale dell’isola. Il Monte Arci fu uno dei più importanti centri mediterranei di estrazione e lavorazione di questa roccia vulcanica. In quest’area, infatti, sono stati individuati almeno settanta centri di lavorazione e circa 160 insediamenti stabili o temporanei dai quali l’ossidiana veniva poi esportata verso la Francia meridionale e l’Italia settentrionale.

La posizione geografica dell’isola, ma anche il suo patrimonio minerario, attrassero tra il X e l’VIII secolo a.C. i mercanti fenici, ai quali, attorno alla metà del VI secolo, subentrarono i cartaginesi. Fenici e cartaginesi sfruttarono intensamente le ricchezze minerarie, soprattutto nell’Iglesiente, dove sono state rinvenute tracce di escavazioni e scorie di fusione attribuibili a questo periodo.
Nel 238 a.C. inizia in Sardegna l’epoca della dominazione romana. Sotto i romani l’attività mineraria crebbe intensamente, soprattutto per quanto riguarda i ricchi giacimenti di piombo e d’argento. Fin dal 269 a.C. la repubblica romana aveva adottato l’argento come base monetaria, mentre il piombo veniva utilizzato nei più svariati campi della vita civile, dalle stoviglie alle condutture dell’acqua. La Sardegna, dopo la Spagna e la Gran Bretagna, costituiva la terza regione, tra i domini di Roma, per quantità di metalli prodotti. La produzione mineraria durante tutto il periodo della dominazione romana è stata valutata in circa seicentomila tonnellate di piombo e mille tonnellate d’argento. L’attività estrattiva dei romani non si limitò solo al bacino dell’Iglesiente. I sistemi di coltivazione delle miniere, in epoca romana, consistevano nello scavo di pozzi verticali profondi anche oltre cento metri; i lavori erano condotti, servendosi di soli utensili manuali e talvolta del fuoco per disgregare la roccia, da minatori liberi, detti “metallari”, e dal 190 a.C. circa da schiavi e prigionieri detti “damnati ad effondienda metalla”. In tarda epoca romana la produzione mineraria sarda diminuì considerevolmente.
In seguito alla caduta dell’impero romano d’occidente, l’isola cadde sotto il dominio bizantino, sotto il quale la produzione mineraria e l’attività metallurgica registrarono una certa rinascita. L’argento tornò ad essere uno dei principali prodotti d’esportazione della Sardegna. Dal 1087 vi fu il predominio di Pisa su tutta la Sardegna. Dal punto di vista della storia mineraria il periodo pisano è molto ben documentato. Fu determinante la nascita e lo sviluppo del centro abitato di Villa di Chiesa, l’attuale Iglesias. I pisani ripresero i lavori abbandonati dai Romani aprendo numerose fosse e riportando alla luce gli antichi filoni. L’intensa attività estrattiva, cosi come la vita politica economica e sociale, venne disciplinata mediante una serie di leggi, raccolte in un codice suddiviso in quattro libri conosciuto con il nome di Breve di Villa di Chiesa.
Negli anni intorno al 1326 Pisa perse i suoi domini in Sardegna a favore della corona di Aragona. Sotto la dominazione aragonese prima e spagnola poi, l’attività mineraria conobbe una continua decadenza; la Sardegna che per secoli era stata tra le più importanti aree di produzione dell’argento finì per importare il prezioso metallo il quale ormai arrivava in ingenti quantità dai possessi spagnoli del nuovo mondo. Ciò nonostante, si può affermare che neppure in questo periodo le miniere sarde cessarono del tutto la loro attività, infatti esisteva pur sempre un piccolo mercato domestico, per lo meno per il piombo.
Nel 1720 l’isola passò a far parte dei possedimenti dei duchi di Savoia. Lo stato sabaudo dette nuovo impulso all’attività mineraria. Le nuove società, soprattutto quella di Mandel, introdussero diverse innovazioni tecnologiche, tra le quali l’impiego dell’esplosivo durante i lavori di estrazione.
Nel 1848 entrò pienamente in vigore in Sardegna una nuova legge mineraria, la quale prevedeva la separazione della proprietà del suolo da quella del sottosuolo. La nuova legge richiamò nell’isola numerosi imprenditori, in particolare liguri e piemontesi e nacquero le prime Società con lo scopo di sfruttare i promettenti giacimenti sardi. La maggior parte delle Società minerarie operanti in Sardegna aveva dunque capitale non sardo.
Dal 1865 in poi, al piombo e all’argento, che erano stati fino ad allora i minerali principalmente estratti nell’isola, si affiancò lo zinco. Infatti in quell’anno, nella miniera di Malfidano a Buggerru, furono rinvenute le “calamine” (silicati di zinco).
Intanto cresceva il malessere della Sardegna all’interno del nascente Stato italiano. Nell’aprile del 1868 il disagio sociale sfociò a Nuoro in gravi disordini. In seguito a questi fatti fu istituita una commissione parlamentare di inchiesta. Il deputato Quintino Sella, ingegnere minerario, svolse una relazione sulle condizioni dell’industria mineraria in Sardegna, pubblicata nel 1871, che costituisce un documento di straordinaria importanza. Dalla sua relazione emergeva la crescente importanza dell’industria mineraria sarda nell’ambito dell’economia italiana. Nel 1868-69, nelle miniere sarde, erano impiegati 9.171 addetti, quasi il triplo rispetto a quelli del 1860. Nel 1870 i permessi di ricerca, che alla fine del 1861 erano 83, salirono a 420 e le concessioni da 16 a 32. Il minerale prodotto passò dalle 9380 tonnellate del 1860 alle 127.925 tonnellate del 1868-69, ed il suo valore quintuplicò in quegli stessi anni. Dato il basso livello di istruzione e di preparazione tecnica delle maestranze sarde, anche la maggior parte della manodopera qualificata impiegata nelle miniere proveniva dal continente.
La maggior parte delle volte la condotta delle società minerarie che operarono nell’isola fu improntata a criteri che possono essere tranquillamente definiti colonialistici; infatti, molto spesso esse si limitavano a sfruttare le parti più ricche dei filoni che coltivavano, trasferendo poi fuori dalla Sardegna il minerale estratto che veniva trattato in impianti posti sul continente. Gli ingenti proventi derivanti dallo sfruttamento delle miniere sarde non venivano poi reinvestiti in loco se non per agevolare l’attività dell’impresa. Il 4 settembre 1904, durante uno sciopero dei minatori di Buggerru, tre di loro furono uccisi dall’esercito. Ne seguì il primo sciopero generale mai riuscito in Italia. Durante il periodo fascista (1922-1943) cominciò lo sfruttamento dell’enorme giacimento carbonifero del Sulcis. La città mineraria di Carbonia venne creata e inaugurata nel 1938.
Nel 1949 lunghi scioperi nel settore metallifero portarono ad una terribile sconfitta dei minatori, che dovettero rinunciare ad essere rappresentati dai sindacati. Le società ne approfittarono, in particolar modo la francese Pertusola (gruppo Penarroya), che aveva il controllo delle miniere più importanti della Sardegna, tra cui quella di San Giovanni. I diritti di rappresentanza sindacale furono riconquistati solo nel 1960, dopo altri lunghi mesi di sciopero. Nel 1969 la Pertusola lasciò la Sardegna. Tutte le miniere finirono sotto il controllo di un’azienda pubblica, che tentò di rilanciare il settore. Ma la crisi irreversibile dell’industria mineraria in Europa era già cominciata.

Negli anni ’80 e ’90, le miniere sarde chiusero una dopo l’altra. La miniera di San Giovanni fu occupata dai minatori che richiedevano delle prospettive di lavoro. Ma la decisione di chiudere era già definitiva.
Attualmente, resta in attività solo la miniera di carbone di Nuraxi Figus, il cui futuro è legato ad un complesso piano energetico, che però sembra non voler mai decollare. La miniera d’oro a cielo aperto di Furtei, aperta 15 anni fa, è stata chiusa, dopo aver avvelenato il territorio col cianuro. A Silius c’è una miniera di fluorite, chiusa da 4 anni, che potrebbe avere un futuro, ma che non riesce ad essere redditizia. A Olmedo, nel nord dell’isola, c’è una piccola miniera di bauxite, in cui lavorano una quindicina di minatori.

Brève histoire minière de Sardaigne

L’histoire de l’exploitation des minerais en Sardaigne, et donc le travail dans les mines, remonte à des temps très lointains. Les commerçants et les explorateurs avaient l’habitude de fréquenter les côtes de l’île, attirés par les richesses du sous-sol sarde. La longue histoire minière de Sardaigne commence vraisemblablement autour du VIe millénaire av. J.-C. avec l’extraction de l’obsidienne sur le Mont Arci au centre-ouest de l’île. Le Mont Arci fut l’un des plus importants centres méditerranéens d’extraction de cette roche volcanique. Des traces d’au moins 70 centres miniers et environ 160 infrastructures stables ou temporaires ont été trouvées dans cette région, depuis lesquels l’obsidienne était transportée au sud de la France et au nord de l’Italie.
La position géographique de l’île, et surtout son patrimoine minier, attirèrent entre les XIVe et VIIIe siècles av. J.-C. les commerçants phéniciens, qui furent progressivement remplacés par les Carthaginois au VIe siècle av. J.-C. Tous les deux exploitèrent de manière intense les richesses minières, surtout dans l’Iglesiente, où des traces d’excavations et des déchets de fusion attribuables à cette période ont été retrouvés.
La Sardaigne devint province de la République romaine en 226 av. J.-C. L’activité minière augmenta énormément sous les Romains, surtout lorsqu’il s’agissait des gisements de plomb et d’argent. La République romaine avait adopté l’argent comme masse monétaire en 269 av. J.-C., tandis que le plomb était omniprésent dans la vie civile, étant utilisé dans la production de beaucoup de produits, allant de la vaisselle aux conduites d’eau. La Sardaigne était la troisième plus grande région sous domination romaine par quantité de métaux produits, après l’Espagne et la Grande-Bretagne. La production minière pendant la domination romaine est estimée à environ 600 000 tonnes de plomb et 1 000 tonnes d’argent. L’activité minière des Romains ne se limita pas au bassin de l’Iglesiente. Le système d’extraction des minerais consistait, à l’époque romaine, à faire des puits verticaux qui pouvaient aller au-delà de cent mètres de profondeur. Le travail de ces puits, mené avec des outils manuels simples et parfois du feu, fut entrepris d’abord par des mineurs libres, dits metallari, puis, à partir de 190 av. J.-C. environ, par des esclaves et des prisonniers, ces derniers dits “damnati ad effondienda metalla”. La production minière sarde diminua donc considérablement à la fin de l’époque romaine.

A la suite de la chute de l’Empire romain d’occident, l’île tomba sous domination byzantine, sous laquelle la production minière et l’activité métallurgique enregistrèrent une certaine renaissance. L’argent redevint l’un des principaux produits d’exportation de la Sardaigne.
Depuis 1087 le royaume de Pise devient prédominant sur tout le territoire sarde. Cette période pisane est très bien documentée en matière d’histoire minière. Il fut essentiel l’essor et le développement de Villa di Chiesa, l’actuel Iglesias. Les pisans reprennent le travail des Romains en ouvrant de nombreux puits et en redécouvrant les anciens. L’intense activité dans les mines, ainsi que dans la vie politique, économique et sociale, fut réglée par une série de lois réunies dans un codex subdivisé en quatre tomes appelé le Breve di Villa di Chiesa.
Pise perd ses domaines sardes en 1326 en faveur de la couronne du Royaume d’Aragon. L’activité minière, très réduite par rapport à la période pisane, vit un déclin continu sous la domination aragonaise et éventuellement espagnole ; la Sardaigne, autrefois l’une des plus importantes régions du monde en matière d’extraction d’argent, se voit contrainte d’importer le métal précieux depuis les possessions espagnoles du Nouveau Monde. L’industrie minière sarde ne fut pas toutefois détruite ; elle tournait encore pour le petit marché domestique, notamment en ce qui concerne le plomb.

En 1720, comme conséquence du traité de Londres, l’île passe sous contrôle de la Maison de Savoie. Le royaume donna un nouvel élan à l’activité minière. Les nouvelles sociétés, surtout celle de Mandel, introduisent diverses innovations technologiques, dont l’utilisation des explosifs lors de l’extraction. Une nouvelle loi minière entra pleinement en vigueur sur l’île en 1848 et facilita l’octroi des concessions minières et attira de nombreux entrepreneurs, en particulier liguriens et piémontais. La majorité des sociétés minières opérant sur le territoire sarde était donc de capital non sarde. C’est à partir de 1865 que le zinc s’ajouta à la liste des principaux minerais extraits, les autres étant le plomb et l’argent. En fait, de la calamine (hémimorphite, ou silicate de zinc) fut trouvée dans les mines de Malfidano à Buggerru.

Entre-temps, les malheurs de la Sardaigne au sein du nouvel état italien augmentèrent. Le malaise social conduit à de graves désordres à Nuoro en avril 1868. Une commission parlementaire d’enquête fut instituée peu après cet évènement. Le député piémontais Quintino Sella, ingénieur minier, publia un rapport sur l’état de l’industrie minière sarde en 1871, œuvre qui constitue un document d’une extraordinaire importance. Sella mit en évidence l’importance croissante de l’industrie minière sarde dans l’économie italienne. Les années 1868-1869 virent travailler 9171 employés dans les mines sardes, quasiment le triple qu’en 1860. En 1870 les permis de prospections, qui n’étaient qu’au nombre de 83 en 1861, augmentèrent à 420, et les concessions de 16 à 32. Les minerais ainsi produits passèrent de 9379,8 tonnes en 1860 à 127 924,6 en 1868-1869, et leur valeur tripla durant ces mêmes années. Étant donné le bas niveau d’instruction et de préparation technique des sardes, même une grande partie de la main d’œuvre provenait du continent.
La plupart du temps, les sociétés minières opérant sur l’île prirent des attitudes qu’on peut aujourd’hui définir colonialistes ; ils se limitèrent souvent à exploiter les parties les plus riches de leurs mines, transférant ensuite les minerais extraits sur le continent pour y être traités. Les énormes profits ainsi faits ne furent pas réinvestis sur place, si ce n’est que pour faciliter les activités des entreprises. Le 4 septembre 1904, pendant une grève des mineurs de Buggerru, trois d’entre eux sont tués par l’armée. Il en suit la première grève générale réussie en Italie.
Pendant la période fasciste (1922-1943) commence l’exploitation de l’énorme gisement de charbon dans le Sulcis. La ville minière de Carbonia, pas loin d’Iglesias, est créée et inaugurée en 1938.
En 1949 des très longues grèves dans le secteur métallifère portent à un terrible échec pour les mineurs, qui finalement doivent renoncer au droit d’être représentés par des syndicats. Les sociétés en profitent, en premier lieu la française Pertusola (groupe Penarroya), qui avait le contrôle des plus importantes mines de Sardaigne, dont San Giovanni. Ces droits ne furent reconquis qu’en 1960, après des mois de grève. En 1969 Pertusola quitte la Sardaigne. Toutes les mines vont être sous le contrôle d’une entreprise publique, qui essaye de relancer le secteur. Mais la crise irréversible de l’industrie minière en Europe est déjà commencée.

Dans les années ’80 et ’90, les mines sardes ferment les unes après les autres. La mine de San Giovanni est occupée par les mineurs qui voudraient des perspectives de travail. Mais la décision de fermer est définitive.

Actuellement, il ne reste en activité que la mine de charbon de Nuraxi Figus, dont le futur est lié à un très complexe plan énergétique, qui semble ne vouloir jamais démarrer. La mine d’or à ciel ouvert de Furtei, ouverte il y a 15 ans, a été fermée, après avoir empoisonné le territoire au cyanure. A Silius il y a une mine de fluorite, fermée depuis 4 ans, qui pourrait avoir un futur, mais elle n’arrive pas à être rentable. A Olmedo, dans le nord de l’île, il y a une petite mine de bauxite, une quinzaine de mineurs y travaillent.

IL PRIMO GIORNO DI FRANCO

A Fluminimaggiore, sotto un grande murale che ricorda lo sciopero dei minatori del 1904, incontriamo Franco, ex minatore a Su Zurfuru;
sono le prime ore del pomeriggio, la sede del patronato è ancora chiusa al pubblico, ne approfittiamo per avere un posto tranquillo dove farci raccontare la sua esperienza.

“La mia scelta avvenne che ero poco più di un ragazzo,
avevo appena finito il servizio militare, quindi avevo 20 anni;
della miniera c’era ancora un concetto molto negativo in questo territorio
sia per le malattie che suscitava sia per gli infortuni che spesso succedevano;
io mi stavo preparando a emigrare in Germania, ma capitò che qualcuno mi chiese se volevo entrare in miniera che c’era la possibilità di essere assunti;
ci ho riflettuto un po’ perchè non volevo lasciare il paese.
Ricordo quando lo dissi in casa, mia madre invece di essere entusiasta mi disse subito un no secco:
“tu in miniera non vai a lavorare”;
disse perché il padre era morto giovane di silicosi, perché un fratello era morto schiacciato…
“tu in miniera non vai”…ma aveva capito che io avevo già scelto.
Il 26 maggio mi recai a San Giovanni in miniera, c’era un viavai di persone che erano tutte sporche di fango; io ero appoggiato alla mia vespa e rimasi un po’ sorpreso…dove sto andando?…
non sapevo cosa dovevo fare, poi arrivò un uomo, mi portò in una stanzetta e mi disse: “mettiti quegli stivali”
poi mi portò in un altro posto e mi diede una candela a carburo, me la montò:
“qui si mette il carburo, qui l’acqua…”
insomma mi insegnò a prepararla:
“da domani lo dovrai fare ogni giorno tu”.
Poi accese la candela e mi disse di seguirlo; siamo entrati in una galleria poco distante da lì , lui andava spedito, era abituato, io tentennavo un po’ e guardavo bene dove mettevo i piedi, finchè in una svolta vidi una luce e pensai che finalmente eravamo arrivati; invece era una gabbia, siamo entrati, spinse un pulsante e la gabbia iniziò a scendere; mi ero stretto forte a un pezzo di ferro, lui non parlava mai e io nemmeno.
quando siamo arrivati giù c’era uno scenario incredibile, difficile da raccontare, un posto grandissimo, luci, rumori assordanti, perforatrici, autopale, voci che arrivavano da lontano, una cosa inaspettata per me che non ero mai entrato in miniera.
Il sorvegliante entrò in uno stanzino che era lì sottoterra, posò qualcosa e mi disse di continuare a seguirlo, ci siamo inoltrati per qualche centinaio di metri in una galleria finchè arrivati vicino un minatore che perforava gli disse che dovevo imparare e se ne andò.
Rimasi solo con questa persona che inizialmente mi aveva un po’ spaventato, era tutta sporca e arrabbiata perchè stava andando male il lavoro:
“metti un piede qui che mi tieni il sostegno della perforatrice!”
finita la volata, ha chiuso l’acqua e mi ha detto una parola che non avevo mai sentito:
“vai di là e portami la manichetta!”
intuì che non avevo capito e andò a prenderla lui
“questa è la manichetta!”
poi siamo andati in una riservetta, abbiamo preso due casse di esplosivo e ha caricato da solo tutte le mine; il lavoro era finito.
Quando siamo usciti fuori mi ha chiesto cosa mi era sembrato, ma io cosa potevo dire, avevo paura e basta, era tutta la giornata che mi guardavo intorno e vedevo la montagna sopra, non sapevo neanche che eravamo stati a meno 300. L’indomani stessa storia, man mano che passavo i giorni odiavo sempre di più questo lavoro e avevo sempre paura e la paura mi è rimasta per tutti i 30 anni.
Scusate…”

LE PREMIER JOUR DE FRANCO

A Fluminimaggiore, sous une grande fresque murale qui rappelle la grève des mineurs de 1904, nous rencontrons Franco, un ancien mineur de Su Zurfuru ;
c’est le début d’après-midi, le siège du syndicat est encore fermé au public, nous profitons de cet endroit tranquille pour nous faire raconter son expérience.

J’ai fait mon choix lorsque j’étais un peu plus qu’un garçon,
je venais de terminer son service militaire, donc j’avais 20 ans;
la mine était encore une idée très négative dans cette région
à cause des maladies qu’elle provoquait et des accidents qui souvent se produisaient ;
je me préparais à émigrer en Allemagne, mais il est arrivé que quelqu’un m’a demandé si je voulais entrer dans la mine, il y avait une chance d’être embauché ;
j’y ai pensé un peu parce que je ne voulais pas quitter le village.
Je me souviens de quand je l’ai dit à la maison, ma mère au lieu d’être enthousiaste m’a immédiatement dit un non, sec :
“Toi, tu ne vas pas travailler dans la mine” ;
Elle le dit parce que son père était mort jeune, de silicose, un de ses frères était mort écrasé…
“tu ne vas pas travailler dans la mine”… mais elle avait compris que j’avais déjà fait mon choix.
Le 26 mai je me suis rendu à la mine de San Giovanni, il y avait plein de gens en mouvement, qui étaient tout couverts de boue ; moi, je m’appuyais sur ma Vespa et j’étais un peu surpris… “où est-ce qu eje vais aller ?…”
Je ne savais pas quoi faire, puis un homme est venu, m’a emmené dans une pièce et m’a dit : “met ces bottes”
puis m’a conduit à un autre endroit et m’a donné une lampe à carbure, il l’a chargé :
“Ici, tu mets le carbure, là tu mets l’eau …”
en un mot, m’a appris à la préparer :
“A partir de demain, c’est toi qui le fait, tous les jours”.
Puis il a allumé la lampe et m’a dit de le suivre, nous sommes entrés dans une galerie non loin de là, il marchait vite, il avait l’habitude, j’hésitais un peu, en regardant bien ma où je mettais les pieds, jusqu’à un virage, où j’ai vu une lumière et j’ai pensé que nous étions enfin arrivés ; mais c’était une cage, nous sommes entrés, il a poussé un bouton et la cage a commencé à descendre ; j’avais serré très fort un bout de fer, lui ne parlait jamais, et moi non plus.
Quand nous sommes arrivés en bas il y avait un décor incroyable, difficile à dire, un endroit énorme, des lumières, des bruits assourdissants, les perforatrices, les pelles mécaniques, des voix venant de loin, une chose inattendue pour moi qui n’avais jamais mis les pieds dans une mine.
Le surveillant est rentré dans une pièce, dans le sous sol, il a posé quelque chose et m’a dit de continuer de le suivre, nous avons parcouru quelques centaines de mètres dans un tunnel jusqu’à arriver à côté d’un mineur qui preçait un trou : il lui a dit que je devais apprendre et il est parti.
Je suis resté seul avec cette personne, qui m’avait d’abord un peu effrayé, il était tout sale et en colère parce que le travail se passait mal :
“mets un pied ici et tiens l’appui de la perforatrice !”
terminé la volée des mines, il a fermé l’eau et m’a dit un mot que je n’avais jamais entendu :
“va là-bas et apporte-moi la manichetta !”
il a pigé que je ne comprenais pas et il est parti la chercher lui-même
“ça c’est la manichetta !”
Puis nous sommes allés à une petite réserve, nous avons pris deux boîtes d’explosifs et il a chargé tout seul toutes les mines; le travail était terminé.
Quand nous sommes sortis, il m’a demandé ce que j’en pensais, mais qu’est-ce que je puvais lui dire ? j’avais peur, c’est tout, pendant toute la journée je me suis regardé autour, je voyais la montagne au-dessus, je ne savait même pas que nous étions à moins 300. Le lendemain, même histoire, au fur et à mesure que les jours passaient je détesté ce travail davantage, j’avais toujours peur et la peur est resté avec moi pendant tous les 30 ans.
Désolé… “

Dopo il primo incontro a Su Zurfuru, sale l’eccitazione, un mondo sembra aprirsi. L’incontro con i primi ex-minatori ha trasformato la curiosità in necessità di comprendere; inoltre pensavamo che i superstiti fossero ormai pochi anziani, invece, a Fluminimaggiore ci rendiamo subito conto che i pensionati sono quasi tutti ex-minatori, e sono pure giovani: 55, 60 anni.
Vaghiamo da un uomo all’altro, da una storia all’altra, da un’esperienza all’altra. Ogni storia personale si lega a diverse miniere, ogni miniera custodisce un’infinità di storie personali. Per capire se è possibile fare un resoconto esaustivo, relativo almeno alle miniere principali, ci facciamo elencare giusto quelle più vicine a Fluminimaggiore: Su Zurfuru, Gutturu Pala, Candiazzus; e poi Arenas, Malacalzetta, S’Acqua Bona… di ognuna di esse resta qualcosa in superficie, ma soprattutto restano molti degli uomini che ci hanno lavorato e che si sono resi disponibili per condurci in questi luoghi: Sergio, Franco, tziu Nino Tiddia…
Hanno svolto un lavoro molto duro eppure sono fortemente legati ad esso; ci lasciamo coinvolgere dalla loro voglia di descrivere, raccontare e trasmettere.

Sergio, ad Arenas, raccoglie dallo sterrato davanti agli scavi una sfera d’acciaio, deformata come se fosse di gomma; spiega che è una delle sfere che stava all’interno dei monumentali mulini che dimorano nelle laverie, in cui la roccia estratta dalla montagna, subiva una serie di trattamenti per eliminare il materiale inerte e mantenere solo quello più ricco di minerale…
Il minerale! Ciò per cui esistono le miniere!

-Sergio, cosa sono quelle enormi zone dove non cresce neanche un filo d’erba?-

-Quello è lo STERILE, la montagna che non serve”-

Il marchio eterno della miniera che si estende dal paesaggio alla memoria.

LA MONTAGNE QUI N’EST PAS UTILE

Après la première rencontre à Su Zurfuru, l’excitation monte, un monde s’ouvre devant nous. La rencontre avec les premiers ex-mineurs a transformé la curiosité en besoin de comprendre ; en plus, nous pensions que les “survivants” n’étaient que quelques vieux, mais à Fluminimaggiore nous nous rendons compte que les retraités sont presque tous des ex-mineurs, et plutôt jeunes : 55, 60 ans.
Nous passons d’un homme à l’autre, d’une histoire à l’autre, d’une expérience à l’autre. Chaque histoire personnelle est liée à plusieurs mines, chaque mine garde une infinité d’histoires personnelles. Pour comprendre si on pourra jamais préparer un compte-rendu exhaustif, du moins par rapport aux mines les plus importantes, nous écoutons la liste de celles juste à côté de Fluiminimaggiore : Su Zurfuru, Gutturu Pala, Candiazzus ; et puis Arenas, Malacalzetta, S’acqua Bona… de chaqune d’entre elles reste des traces en surface, mais restant surtout les hommes qui y ont travaillé et qui ont bien voulu nous y emmener : Sergio, Franco, oncle Nino Tiddia…
Ils ont fait un travail très dur mais ils y sont fortement liés ; nous nous laissons transporter par leur envie de décrire, raconter et transmettre.

Sergio, à Arenas, ramasse par terre une sphère en acier, déformée comme du caoutchout ; il nous explique que c’est une des sphères qui se trouvaient à l’intérieur des gigantesques moulins qui demeurent dans les laveries, là où la roche, sortie de la montagne, subissait une série de traitements pous éliminer le matériel inutile et garder juste la partie riche en minerai…
Le minerai ! C’est pourquoi les mines existent…

Il primo approccio è il più ovvio e superficiale: un giro in auto alla ricerca delle miniere abbandonate, almeno di quelle segnalate sulla cartina.
La prima domanda:
Cos’è la miniera?
Sfilano le montagne, ogni tanto spunta un camino in mattoni, qualche discarica grigia in mezzo agli alberi, costruzioni in rovina, a volte affascinanti altre volte squallide…
Separati da reti metalliche, protetti dall’automobile, attraversiamo questi luoghi.

La miniera l’immaginavamo così: una galleria, il minatore che scava col motopicco e porta via il materiale sui vagoni.
Non riusciamo a vedere niente che confermi questa idea.
Sulla via del ritorno, una grande struttura di metallo arrugginito ci cattura: la sbarra che impedisce l’accesso all’area è sollevata, un chiaro invito a farci avanti.
Timorosi, entriamo con l’auto. Non c’è nessuno, stavolta possiamo sbirciare più da vicino: pezzi di binario ci vengono incontro, grossi macchinari arrugginiti ma ancora prestanti mostrano la loro data di fabbricazione “New York, 1926”. Tubi, scale di cemento e, un po’ più su, l’entrata di una galleria da cui fuoriesce un pesante vagone con le ruote sui binari.
Scattiamo foto e un senso di disagio ci assale: questa non può essere la miniera, ferraglia da fotografare e nature morte. C’è un vuoto pesante, ci sentiamo degli intrusi, che senso ha proseguire?
Un’ auto si avvicina alla sbarra, la supera e posteggia affianco alla nostra, forse ci tocca subire una ramanzina.
Invece no, l’uomo è cortese, si chiama Giuseppe, ci spiega che lì, nella vecchia laveria di Su Zurfuru, cerca di montare uno spettacolo teatrale basato sulle storie e le testimonianze degli ex-minatori, perchè in paese, a Fluminimaggiore, gli uomini sono quasi tutti ex-minatori e quelli che attualmente hanno un lavoro sono solo poche decine. Lui non ha mai fatto il minatore, ma suo padre si, ed è morto di silicosi.
-Bisogna farli parlare, i minatori, non si può dimenticare, loro possono far rivivere questi posti.
E voi? Che cosa state facendo? Un libro di fotografie?-

-Stiamo facendo sopralluoghi per girare un film sulle miniere-

-Venite con me, ve li presento io i minatori-

Qui comincia il nostro viaggio.

VENEZ AVEC MOI, JE VAIS VOUS LES PRESENTER, LES MINEURS…

L’approche est banale, superficielle : un tour en voiture à la recherche des mines bandonnées, au mois celles marquées sur les cartes.
Première question :
qu’est-ce que c’est qu’une mine ?
Les montagnes défilent, de temps en temps apparaît une cheminée en briques, une décharge grise parmi les arbres, bâtiments en ruine, parfois fascinants, d’autres fois sordides…
Séparés de grilles métalliques, protégés à l’intérieur de la voiture, nous traversons ces lieux.

On l’imaginait ainsi, la mine : un tunnel, le mineur qui creuse avec un marteau piqueur et qui emporte le matériel sur les wagons.
Nous ne voyons rien qui confirme cette idée.
Sur la route du retour, une grande structure en métal rouillé saisit notre attention : la barre qui bloque l’accès est soulevée, c’est une invitation à entrer.
Craintifs, nous avançons en voiture. Il n’y a personne, cette fois ci on peut regarder de près : des bouts de rails viennent à notre rencontre, de grosse machines rouillées mais encore en bonne forme montrent la date de fabrication “New York 1926”, Des tuyaux, escaliers den béton et, un peu plus haut, l’entrée d’un tunnel, avec son wagon à l’air lourd, posé sur les rails.
On prend plein de photos, d’un coup on se sent mal à l’aise : ce ne peut pas etre cela, la minedes bouts de ferraille à photographier, des natures mortes. Le vide est lourd, on se sent des intrus, pourquoi faudrait-il poursuivre ?
Une voiture s’approche de l’entrée, se gare à côté de la nôtre, on va peut-etre se faire gronder…
Mais l’homme est gentil, il s’appelle Giuseppe, il nous explique que ici, dans la vieille laverie de Su Zurfuru, il essaye de monter une pièce de théâtre, basée sur les contes et les témoignages des ex-mineurs, car au village, à Fluminimaggiore, les hommes sont presque tous des ex-mineurs, et ceux qui aujour’hui ont un travail ne sont que quelques dizaines. Lui, n’a jamais été mineur, mais son père si, il est mort de silicose.
– “Faut les faire parler, les mineurs, on ne peut pas oublier, c’est eux qui peuvent faire revivre ces lieux.
Et vous ? Que faîtes-vous ? Un livre de photos ?”

– “On fait des repérages pour tourner un film sur les mines”

– “Venez avec moi, je ais vous les présenter, les mineurs…”

Sardegna, direzione sud-ovest,

sono le prime ore del mattino e c’è molta foschia, 
da lontano avvistiamo il castello di un pozzo di Montevecchio;
sono i giorni dopo natale e in giro non c’è nessuno, novelli Stalker ci inoltriamo nell’inverno delle miniere. 
Le enormi strutture di metallo, un tempo porta d’accesso al mondo sotterraneo,
 svettano immobili dalle montagne di sterile che rendono questo paesaggio lunare;

negli edifici ancora in piedi, riposano macchinari industriali di un’altra epoca: una rumorosa presenza visiva sottolineata dal gran silenzio.

Camminiamo lentamente, attenti a non disturbare questa quiete protetta da una splendida natura.
 Passiamo i primi giorni dell’anno nuovo a cercare e visitare i resti delle miniere, da Montevecchio fino a Bindua,
passando per Ingurtosu, Naracauli, Fluminimaggiore, Buggerru, Nebida, Iglesias…

Seguiamo delle tracce, iniziamo a riconoscere degli elementi ricorrenti, leggiamo i libri che parlano di questa millenaria attività ormai spenta,
poi, finalmente, entriamo in contatto con chi questi posti li viveva.

Ci mettiamo ad ascoltare, lasciandoci guidare nei meandri della memoria e nel buio delle gallerie.
Intorno a noi il territorio inizia a prendere vita: la lotta, l’amore, la rabbia, le scelte, la dignità, l’appartenenza.
L’attività estrattiva è ferma e il lavoro è venuto a mancare ma la miniera è viva, nella testa e nelle mani dei minatori.

Sardaigne, direction sud-ouests,

ce sont les premières heures du matin et il y a pas mal de brouillard,
de loin on repère la tour d’un puits de Montevecchio ;
ce sont les jours après Noël et il n’y a personne autour de nous, comme Stalker on avance dans l’hiver des mines.
Les grandes structures métalliques, autrefois porte d’entrée pour le monde souterrain, se dressent immobiles sur les montagnes de terre stérile qui rendent ce paysage lunaire ;

Dans les immeubles encore debout, reposent des machines industrielles d’une autre époque : une présence visuelle bruyante, soulignée par un grand silence.

On marche lentement, faisant gaffe à ne pas déranger ce calme protégé par une nature fleurissante.
On passe les premiers jours de l’année à chercher et visiter ce qui reste des mines, de Montevecchio jusqu’à Bindua, en passant par Ingurtosu, Naracauli, Fluminimaggiore, Buggerru, Nebida, Iglesias…

On suit des traces, on commence à reconnaître des éléments recurrents, nous lisons les livres qui parlent de cette activité millénaire, désormais éteinte,
puis, enfin, nous trouvons le contact avec ceux qui habitaient ces lieux.

Nous restons à l’écoute, en nous laissant conduire dans les méandres de la mémoire et dans l’obscurité des galeries.
Autour de nous, le territoire devient vivant : la lutte, l’amour, la rage, les choix, la dignité, l’appartenance.
L’activité d’extraction est finie, le travail manque, mais la mine est vivante, dans l’esprit et dans les mains des mineurs.