LUCCA, 24 settembre – “Qua ogni famiglia ha il suo morto da piangere per enfisema polmonare”, racconta una voce matura, triste, consapevole. “Sempre più spesso in giro vediamo persone camminare con la mascherina e la bomboletta dell’ossigeno in mano”. Non stiamo parlando di zone di guerra né di terre colpite da chissà quale attacco chimico. Al centro di tutto questo c’è Taranto con la ‘sua’ acciaieria Ilva. Qua ci sono madri che nei seni hanno latte contaminato da diossine e donne che madri non la saranno mai per il crescente e diffuso numero di aborti. “A Taranto non nascono più bambini”, dicono. E quelli che invece hanno la fortuna – o la disgrazia? – di nascere si portano dietro malattie talmente gravi che non toccherebbero neppure all’anziano e più incallito fumatore.
Così Taranto lotta, combatte e resiste all’ombra dell’acciaieria che continua a contare i propri morti. Anche all’interno della fabbrica siderurgica, anche negli spazi sottoposti a sequestro. Due operai hanno trovato la morte proprio lì, dove non dovevano né potevano essere.
Questa forte testimonianza, empatica e ben costruita, passa attraverso l’audio-documentario “Ilva, c’era una rivolta“, realizzato dalla giornalista di Rai Radio3 Ornella Bellucci con l’aiuto di Gianluca Stazi. E questa mattina – in un incontro moderato da LoSchermo.it – ad ascoltarlo e discuterne con l’autrice, accompagnata dalla collega e scrittrice Flavia Piccinni, c’erano oltre quaranta ragazzi. Molti dei quali neppure sapevano cosa fosse l’Ilva.
Ebbene, questa storia che si muove a cavallo tra due secoli, emblematica della nostra cara Italia, mettendo insieme il tema del lavoro e della disoccupazione con tutte le declinazioni più devastanti che una vicenda così fatta può avere (dal problema ambientale a quello della salute), ha catturato la loro attenzione. E per un’ora e mezzo in molti occhi si è acceso un interesse sincero.
Ci piace pensare che ‘Audio documentari in città’ – nuova sezione del Lucca film festival in cui prima ancora dell’immagine a raccontare sono ‘solo’ parole, suoni e rumori – rappresenti di fatto un terreno vergine in cui coltivare passioni, contenuti, storie. Ovviamente col pretesto della comunicazione e dei nuovi e vecchi linguaggi. Perché anche nell’era dei social network, dove la radio si ascolta in podcast e la tv si guarda su internet, non vada persa la funzione nobile della parola. Ed è un bene che questi audio-documentari escano dalla ghettizzazione di festival di nicchia o di concorsi dedicati.
“In quella fabbrica ha lavorato anche mio madre. All’Ilva lavorano anche la maggior parte dei miei amici”, racconta Ornella. Gironalista, sì. Ma anche tarantina. “Raccontare Taranto, oggi, significa raccontare una piazza, un luogo compatto che parla di lavoro e d’ambiente. Ci sono mutazioni genetiche, i bambini non nascono più, i giovani emigrano altrove per trovare occupazione”.
Questa non è una storia lontana. Perché ci tocca da vicino. Proprio ieri, sul Corriere della Sera, Beppe Severgnini ha pubblicato una lettera. A scriverla è Alessandro Valente. Una lettera che si conclude così: “… Lo Stato dovrebbe proteggere prima il cittadino e la sua salute, poi viene tutto il resto. La vera arte della politica è contemperare tutte le esigenze, mentre ora vedo solo lobby al lavoro: la lobby della famiglia Riva che usa come sempre il ricatto occupazionale e che vuol apparire addirittura la vittima. La vittima è Taranto, non dimentichiamolo per cortesia”.
Dal 23 al 27 settembre 2013, all’interno del Lucca Film Festival, gli audiodocumentari arrivano a Lucca con la prima edizione della rassegna Audiodocumentari in città che, rivolta alla cittadinanza e alle scuole, proporrà due workshop gratuiti, quattro ascolti e altrettante tavole rotonde incentrate sui temi dei lavori ascoltati: il gioco d’azzardo, il rapporto fra industria e ambiente, il carcere, l’assistenza famigliare.
Ideato e organizzato da Officine Abaco e QZR.
In collaborazione con il Lucca Film Festival.
AUDIODOCUMENTARI:
La tromba d’oro
di Angelo van Schaik
Regia di Angelo van Schaik
Prodotto da VPro
Ascolto dell’audiodocumentario e tavola rotonda.
Partecipanti:
Ornella Bellucci – giornalista, autrice dell’audio documentario
Alda Fratello – assessora alla Cultura del Comune di Lucca
Gianluca Testa – giornalista
Ascolto dell’audiodocumentario e a seguire incontro con Ornella Bellucci, autrice dell’audiodocumentario.
Partecipanti:
Ornella Bellucci – autrice dell’audiodocumentario
Nicola Borrelli – presidente Lucca Film Festival
ore 16:30
Assemblea pubblica per un laboratorio permanente Rai di produzione e formazione di cinema documentario e audio documentario.
dalle ore 19:00
I vivi e i morti di Goro, di Sergio Zavoli (1961)
Ritorno a Srebrenica, di Santo Della Volpe (2012)
Zona Pericolosa, di Citto Maselli (1959)
Estatti da Mare nostrum (2003) e Schiavi (2013) di Stefano Mencherini Ilva, c’era una rivolta di Ornella Bellucci (2013)
E’ stato morto un ragazzo di Filippo Vendemmiati (2010)
I giorni della rabbia di Amedeo Ricucci (2009)
Terre in moto di Michele Citoni, Angela Landini, Ettore Siniscalchi (2006)
I paesaggi del sale di Lucio Gaudino (1995)
montaggio e mix: Gianluca Stazi
produzione: Tratti Documentari
traduzioni: Irida Çami e Coralie Bidault
Durata: 22′
La sera del Venerdì santo del 1997, una piccola imbarcazione albanese stracarica di profughi, la Kater I Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana al largo delle coste pugliesi. È uno dei più gravi naufragi della storia recente del Mediterraneo: muoiono 81 persone, in gran parte donne e bambini. Molti corpi non verranno mai recuperati, i sopravvissuti sono solo 34.
Il naufragio della Kater I Rades, avvenuto in quel lembo di mare che separa l’Italia dall’Albania, mentre nel piccolo paese balcanico infuriava una sanguinosa guerra civile, segna uno spartiacque nella percezione dei viaggi dei migranti. Per la prima volta, l’applicazione delle politiche di respingimento in alto mare provoca un immane disastro. Un disastro politico, non naturale.
Un lungo processo ha provato a ristabilire la verità, cosa sia effettivamente accaduto la sera del 28 marzo del 1997. Tra mille ombre e depistaggi, un briciolo di verità è stato ristabilito. È stato condannato il comandante della corvetta italiana, è stato stabilita la dinamica dell’impatto (in seguito a un lungo, estenuante inseguimento della carretta del mare da parte di una nave molto più grande), almeno in parte è stato smontato il muro di gomma eretto dai militari. Tuttavia è stato impossibile stabilire la responsabilità (pure evidente) degli alti vertici della Marina che hanno impartito gli ordini di harassment, cioè di “disturbo intenzionale” della navigazione di una imbarcazione di civili che scappavano da un conflitto. Non è stato possibile farlo, perché molte prove sono letteralmente “scomparse”.
Di fronte a questa triste vicenda in cui scompaiono dei corpi, e allo stesso tempo la verità circa la loro morte, l’unica operazione dignitosa è quella di provare a ricostruire come sono andate le cose. Non solo: è importante ricostruire la vita delle persone che erano sulla Kater i Rades. Le voci dei sopravvissuti, il dolore dei parenti, le storie minute di chi fuggiva, i loro sogni, i loro desideri, la loro percezione dell’Italia, del rumore del mare, degli ordini della Marina militare.
Da allora sia l’Albania che l’Italia sono molto mutate. I viaggi dei migranti seguono la rotta Nord Africa-Lampedusa. Non più quella che dall’Albania va verso Otranto e il Salento. Benché l’immigrazione sia tuttora l’evento sociale più importante della nostra contemporaneità, una spessa patina di oblio ricopre ciò che accaduto negli anni novanta, quando tutto cioè ha avuto origine in forme più massicce rispetto ai decenni precedenti.
Per questo, ricordare un evento del genere, farlo rivivere ora, a tanti anni di distanza, vuol dire far irrompere quel passato nel nostro presente per meglio comprendere entrambi. Allo stesso tempo raccontare le storie delle vittime, vuol dire ricostruire la loro dimensione umana, vittima – al di là del naufragio – di una intensa opera di disumanizzazione, che incomincia proprio con il negare la complessità delle loro esistenze, riducendole a meri numeri all’interno dei flussi migratori.
Alessandro Leogrande
L’audio documentario “Kater I Rades” è stato presentato in anteprima al festival Teatri di Vetro 7
ed è liberamente tratto dal reportage “Kater I Rades, il naufragio che nessuno ricorda” di Ornella Bellucci, trasmesso da Rai Radio3 dal 26 al 30 marzo 2012.
I testi relativi alle comunicazioni intercorse tra i comandi di terra e le navi impiegate nel Canale d’Otranto il 28 marzo 1997
sono tratti da “Il naufragio. Morte nel Mediterraneo” di Alessandro Leogrande (Feltrinelli 2011),
Premio Ryszard Kapuściński, Premio Paolo Volponi e Premio Marincovich.
Gli inserti processuali sono attinti dall’archivio sonoro di Radio Radicale.
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Dans la soirée du Vendredi Saint 1997, une petite embarcation albanaise remplie de refugiés, le Kater I Rades, est éperonnée par une corvette de la Marine militaire italienne au large des côtes des Pouilles. C’est l’un des naufrages les plus graves de l’histoire récente de la Méditerranée : 81 personnes meurent, en grande partie des femmes et des enfants. Beaucoup de corps ne seront jamais retrouvés, il n’y a que 34 survivants.
Le naufrage du Kater I Rades, qui s’est produit dans cette langue de mer s’éparant l’Italie de l’Albanie, alors qu’une guerre civile sanglante sévissait dans le petit pays balkanique, marque un tournant dans la perception des voyages des migrants. Pour la première fois, l’application des politiques de refoulement en haute mer provoque une effroyable catastrophe. Une catastrophe politique, pas naturelle.
Un long procès a essayé de rétablir la vérité, sur ce qui s’est effectivement passé la soirée du 28 mars 1997. Entre zones d’ombre et manipulations, un brin de vérité a été rétabli. Le commandant de la corvette italienne a été condamné, la dynamique de la collision (à la suite d’une longue et exténuante poursuite du vieux rafiot par un navire beaucoup plus grand), le mur d’indifférence érigé par les militaires a été, au moins en partie, démantelé. Toutefois, il a été impossible d’établir la responsabilité (quoiqu’évidente) des hautes sphères de la Marine qui ont donné les ordres d’harassment, à savoir de “gêne intentionnelle” de la navigation d’une embarcation de civils fuyant un conflit. Il n’a pas été possible de le faire parce que de nombreuses preuves ont littéralement “disparu”.
Face à cette triste affaire, où des corps disparaissent, en même temps que la vérité concernant leur mort, la seule attitude convenable est d’essayer de reconstruire comment les choses se sont produites. Non seulement cela, mais il est également important de reconstruire la vie des gens qui étaient sur le Kater I Rades. Les voix des survivants, la douleur des proches, les histoires détaillées de ceux qui fuyaient, leurs rêves, leurs désirs, leur perception de l’Italie, le bruit de la mer, des ordres de la Marine militaire.
Depuis lors, l’Albanie comme l’Italie ont beaucoup changé. Les voyages des migrants empruntent la route Nord Afrique-Lampedusa et, non plus celle qui, de l’Albanie va vers Otrante et le Salento. Bien que l’immigration soit aujourd’hui encore l’évènement social le plus important de notre contemporanéité, une épaisse patine d’oubli recouvre ce qui s’est produit dans les années quatre-vingt-dix, alors que tout ceci avait lieu de façon plus massive que lors des décennies précédentes.
C’est pourquoi, se rappeler un tel évènement, le faire revivre maintenant, après tant d’années, signifie faire rejaillir ce passé dans notre présent pour mieux comprendre l’un et l’autre. Raconter les histoires des victimes, signifie également, reconstruire leur dimension humaine, victime –par-delà le naufrage– d’une importante œuvre de deshumanisation, qui commence justement par la négation de la complexité de leur existence, en les réduisant à de simples numéros à l’intérieur des flux migratoires.
scrittura: Ornella Bellucci e Gianluca Stazi
montaggio e mix: Gianluca Stazi
produzione: Tratti Documentari
Durata: 18′
Ho cominciato a occuparmi dell’Ilva di Taranto nel ’97, a due anni dalla privatizzazione dello stabilimento, svenduto dall’IRI al gruppo Riva dopo oltre vent’anni di gestione pubblica.
La fabbrica di Stato era un’altra cosa: le assunzioni erano a tempo indeterminato, i lavoratori venivano addestrati alla sicurezza, il sindacato era presente. Gli infortuni, i morti sono stati meno, molti meno, di quelli prodotti fin qui dalla gestione Riva. Le malattie professionali, che allora hanno cominciato a insidiare i lavoratori, sono emerse dopo.
Oggi a Taranto il lavoro si concentra ancora nel siderurgico. Vi sono impiegati gli allora giovani che hanno dato il cambio ai padri, incontrando un destino più amaro: contrattuale e di sopravvivenza, all’interno e all’esterno dello stabilimento. Lavoratori tenuti sotto scacco con contratti capestro, mai formati alla sicurezza, riluttanti a contatti con le organizzazioni sindacali (tranne quelle filo-padronali, dall’era Riva maggioritarie in fabbrica). Anni duri, in cui il sindacato – la Fiom Cgil in particolare – è stato presente più di oggi alle loro istanze. E alle prime “storture”, anche certo ambientalismo ha preso a muoversi. Queste parti sociali, negli anni, non hanno coagulato proposte d’insieme: il binomio lavoro-ambiente è difficile da difendere. Anche se il lavoro è precario, invalidante, mortale. E l’ambiente avvelenato, violentato dai costi di quel lavoro. Che però frutta, e molto, alla proprietà. Il gruppo Riva è tra i maggiori produttori dell’acciaio mondiale, ha stabilimenti in tutto il globo. Dal solo sito tarantino – oltre 12 mila dipendenti, e circa 3mila nell’indotto – cava il 70 per cento della produzione: dieci milioni di tonnellate d’acciaio l’anno, più o meno. È tra i maggiori stabilimenti siderurgici europei, oggi sotto accusa per, semplificando, “disastro ambientale”. L’aumento di patologie correlate all’inquinamento prodotto dall’Ilva a Taranto e provincia è vertiginoso, ben oltre la media nazionale. E non risparmia bambini e nascituri.
Era il 2 agosto scorso, a giorni dal sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva, quando Taranto – quella Taranto fin lì senza collante, invisibile – è scesa in piazza. C’era stata, sì, la chiamata dei sindacati. E anche gli ambientalisti avevano fatto la loro parte. Ma molte sono state le adesioni personali o poco di più, a quel moto improvviso – di storie, di rabbia – che chiedeva, consapevolmente, la stessa cittadinanza per diritti del lavoro e dell’ambiente. Un moto che, fuori dalla chiamata degli organizzatori e lontano da sigle, si è trovato incanalato nei due cortei – uno per i dipendenti Ilva, l’altro per i lavoratori dell’indotto – sciolti in piazza della Vittoria. Lì i segretari sindacali avrebbero dovuto tenere il comizio, aperto a politici e ambientalisti.
Ornella Bellucci
“Ilva, c’era una rivolta” è stato presentato in anteprima al festival Teatri di Vetro 7 ed è liberamente tratto dal reportage “Ilva, tra lavoro e ambiente” di Ornella Bellucci, trasmesso da Rai Radio3 dal 15 al 19 ottobre 2012.
Ornella Bellucci presenterà l’audio documentario all’interno di una quattro giorni dedicata al cinema documentario per sostenere il progetto LaboreRai: laboratorio permanente Rai di produzione e formazione di cinema documentario e audio documentario.
Buonasera mi chiamo Nicola Franco, sono di Taranto. Ho qualcosa da dirvi, in merito a quel problema che è su tutte le bocche degli uomini al momento, quello che si dice in giro, e che è la mancanza di lavoro, la disoccupazione, l’inquinamento e chi più ne ha più ne metta. Anzi a dirla con parole mie, a tutti quanti, tutti quanti: vi stanno portando alla miseria… alla povertà estrema. Tutta la colpa è ’a nostra, cioè ’a nostra… ’A vostra, ’a vostra, perché io non voto, questo è il fatto, io non voto. Lo sai perché non voto? Io sono un pericolo pubblico.
Tratti Documentari è lieta di pubblicare “Il buco nel mare”
audio documentario di Ornella Bellucci,
rielaborato per la sezione “Racconti Invisibili” del Festival Teatri di Vetro (tdv7)
Crediti
con: Nicola Franco e Patrizia Fedele
regia: Ornella Bellucci
montaggio e mix: Gianluca Stazi
musica: Andreas Bennetzen
produzione: Tratti Documentari
Contestualmente “Lo straniero“, rivista di arte, cultura, scienza e società diretta da Goffredo Fofi, ospita, nella neonata sezione racconti, l’elaborazione in parola scritta de “Il buco nel mare”.
Il testo pubblicato integra due versioni del lavoro, una apparsa sul sito Audiodoc, associazione di audio documentaristi,
l’altra presentata al Festival Teatri di Vetro 7.
Segno che è possibile per una scrittura audio attraversare più linguaggi, restando quel che è, ma anche scoprendosi altro da sé.
Salve mi chiamo Nicola Franco, sono di Taranto. Ho da dirvi una cosa che a tutti quanti credo piacerà: sono un inventore. Vabbè, si dirà, tutti quanti sono inventori, ci sono quelli che fanno le invenzioni, ma io mi sono inventato un’altra cosa rispetto agli altri. Sapete che mi sono inventato? Il buco nel mare. Cosa sarebbe il buco nel mare? Sarebbe un discorso quantomeno da essere ricoverati se lo sentiamo come avviene sto’ fatto qua. Perché è come… Senti, un attimo, ferma.
Io c’avrei da dire un sacco di cose effettivamente diciamo quantomeno da scrostare le coscienze della gente, visto che parlo di un argomento abbastanza serio. La fame. Credo che sia serio, fino a prova contraria.
Mi chiamo Nicola Franco e mi presento a voi in maniera quantomeno, come dire…
La moglie: Aspe’, abbiamo capito.
Aspetta, no, ce l’avevo scritto.
La moglie: Ah, pure?
Eh, sì. Perché non è facile.
Voglio presentarmi a voi in maniera quanto mai insolita, ciò è dovuto al fatto che quello che ho da dirvi vi sembrerà strano, e susciterà uno stupore, quantomeno incredulo, ma posso assicurarvi che è tutto vero e palpabile. Ciò è tutto vero comunque. L’oggetto del nostro campo è il mare. È risaputo da tutti gli addetti ai lavori che in futuro il mare sarà la fonte da cui tra r re sempre maggior nutrimento, difatti i luminari della biologia marina da qualche anno hanno iniziato gli studi, non solo nel nostro paese ma anche all’estero, affinché si trovino soluzioni per economizzare tutto il processo che riguarda, oltre all’alimentazione, anche il modo di allevare i pesci.
Voglio diciamo…
La moglie: L’erba voglio non cresce da nessuna parte.
E infatti, io desidero…
Ti stai presentando. Ma tu chi sei? E perché io dovrei ascoltarti?
Ascolto collettivo dell’audio documentario “Ilva, c’era una rivolta”
a bordo di Goletta Verde Legambiente Venezia
Isola della Certosa, Venezia
mercoledì 22 maggio, ore 18:00
La serata sarà presentata dalle socie Audiodoc: Marzia Ciamponi e Elisabetta Ranieri.
L’autrice, Ornella Bellucci, interverrà telefonicamente al termine dell’ascolto.