Una sala nella periferia di Torino, fuori fa un freddo cane, ma dentro c’è il calore di un foltissimo gruppo: appassionati e studenti di cinema, registi aspiranti o ispirati, critici ancora acerbi o dal palato fine, montatori e fonici, operatori, donne e uomini pazzi per il grande schermo, soprattutto giovani e giovani dentro, informali e liberi.
Questo è il frizzante pubblico del Piccolo Cinema di Torino, a cui abbiamo l’onore di presentare “Il Presagio del Ragno“, martedì 6 dicembre alle 21:30.

http://www.ilpiccolocinema.net/il-presagio-del-ragno/

MEMORIE DAL FUTURO
Inaugurazione di EX-DI’ Memorie in movimento-La Fabbrica del Cinema.

DOMENICA 20 DICEMBRE
ore 18.00
c/o Cine-Teatro Centrale, piazza Roma

INCONTRO CON IL REGISTA GIUSEPPE CASU
Anteprima regionale
Il presagio del ragno” Italia 2015, b/n, 63’

Reti, zavorre, cavi e ancore. Sguardi, gesti, silenzi e risa. Attesa paziente e sforzo finale. Nel respiro di un tempo senza tempo…
Tra terra e mare un nucleo compatto di uomini configura la trama di un’avventura che perdura da sempre: la pesca del tonno rosso. Ultimi interpreti di una millenaria tradizione, radicalmente estranei alle dominanti procedure di cattura industriale di questa pregiata risorsa, dischiudono con i toni e i timbri del loro sapiente lavoro un intenso squarcio sulla relazione insidiosa tra locale e globale. Parlando la lingua trasparente di un’autentica sostenibilità a fronte del cieco avanzare di un disegno di sviluppo sempre più intollerabilmente iniquo.

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Recensione di Sara Galignano per Cinemaitaliano.info

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Il presagio del ragno” è un poema in bianco e nero: lirico e narrativo insieme.

Con costanza e dedizione, il regista Giuseppe Casu segue per una stagione (febbraio-luglio) i lavori di allestimento di una tonnara fino all’epilogo che prevede la pesca dei tonni rossi nel mare di Sardegna.

Grazie a una notevole qualità artistica ed empatica dello sguardo, la visione del documentario consente un’immersione quasi fisica nella ritualità legata al millenario mestiere del tonnarolo (continuamente a “rischio estinzione”), dove distanza e prossimità dell’obiettivo si alternano continuamente. L’inquadratura a volte si restringe su singoli gesti del lavoro (una mano, un pennello, poche maglie di una catena); in altre occasioni si allarga al gruppo, e in questi casi l’intensità del ritmo e il coordinamento dei movimenti conferiscono alle immagini una componente quasi teatrale (quando si tratta delle operazioni di rilascio di palloni, ancore e reti dirette dal “rais”, ma soprattutto quando il gesto ritmato e indimenticabile di decine di mani che allacciano i nodi delle reti riempie gli occhi con l’incedere di una danza).
Ed è come se fossimo quasi lì con loro, nascosti dietro ai numerosi oggetti che il regista sovente mette in primo piano, costruendo così una profondità di sguardo che si allinea su diverse prospettive, una delle quali è la nostra. Così entriamo in gioco.

Visto il contesto quasi atemporale della narrazione (che vuole suggerire la continuità di un ruolo più della sua attualità) la scelta del bianco e nero non stupisce (anche se – o forse soprattutto – raggiunta dal regista lavorando per sottrazione dal colore): dal bianco lattiginoso dei cieli iniziali, che avvolge i protagonisti in una dimensione che sembra lontana nel tempo (ma in parte anche nello spazio), alla stasi finale, dove la tonnara vuota e abbandonata viene cullata dall’immensa distesa marina, che nel grigiore diffuso trasmette un senso di abbandono e desolazione, di quiete dopo la tempesta, di tutto ciò che l’azzurro del mare non sarebbe stato in grado di evocare così bene.

Una riflessione a parte merita l’efficacissima colonna sonora: sempre opportuna, in grado di fare un passo indietro come di invadere lo schermo. In gran parte originale, con l’utilizzo di un’elettronica d’atmosfera dai suoni materici, a volte accompagnata da suoni gutturali che evocano i canti dei cori maschili sardi, lascia spazio alla radio in un momento centrale della narrazione, e ai rumori d’ambiente quando la necessità è dare un ritmo e un’intensità che solo la vita vera sa trasmettere. Perla assoluta la scelta sonora che accompagna il climax finale verso quella che dovrà essere la cattura dei tonni: come in un girone dantesco l’uomo diventa figura mitica e il rituale diventa un valore assoluto, tanto da rendere inutile la conclusione più scontata.

In ultimo, due parole sul titolo, che il regista stesso commenta come un’immagine che, sempre più persistente, si è insinuata nella sua mente nel rivedere le immagini durante il montaggio: il ragno (tessitore di reti) che ha il presagio (per definizione cattivo) di una rete vuota, di una pesca inutile, di una cattura impossibile.

09/10/2015
Sara Galignano

Un’idea, un’avventura, un pensiero, una fissazione, un’ossessione.
Nodi, barche, tonnarotti, sveglie molto, molto prima dell’alba.
Un capo assoluto, il Ràis. Una ciurma di 21 tonnarotti, un po’ uomini e un po’ pirati. Un lavoro da compiere.
Vento e sole, calma piatta e improvvise accelerazioni, fatiche e riposi.
Un lungo respiro, ascolto e profonda osservazione.

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Il presagio del ragno
regia Giuseppe Casu
montaggio Aline Hervé
suono Gianluca Stazi
fotografia Giuseppe Casu e Nanni Pintori
color correction Ercole Cosmi
musica Difondo e Iosonouncane
interpreti Il Ràis e i tonnarotti della Punta

una produzione Sitpuntocom e ISRE Istituto Etnografico della Sardegna
con il sostegno di Fondazione Sardegna Film Commission, Regione Autonoma della Sardegna, Fabbrica del Cinema – Carbonia, Celcam

produttore esecutivo Tratti Documentari

durata 65′
anno di produzione 2015

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Sinossi
Reti, zavorre, cavi e ancore. Sguardi, gesti, silenzi e risa. Attesa paziente e sforzo finale. Nel respiro di un tempo senza tempo…
Tra terra e mare un nucleo compatto di uomini configura la trama di un’avventura che perdura da sempre: la pesca del tonno rosso. Ultimi interpreti di una millenaria tradizione, radicalmente estranei alle dominanti procedure di cattura industriale di questa pregiata risorsa, dischiudono con i toni e i timbri del loro sapiente lavoro un intenso squarcio sulla relazione insidiosa tra locale e globale. Parlando la lingua trasparente di un’autentica sostenibilità a fronte del cieco avanzare di un disegno di sviluppo sempre più intollerabilmente iniquo.

La tonnara fissa
Un tempo la tonnara fissa era il principale sistema di
pesca del tonno rosso. La pesca in tonnara è stagionale: le operazioni, che durano in genere da febbraio a luglio, sono eseguite da un gruppo di uomini, i tonnarotti, guidati dal Ràis, capo assoluto e responsabile dell’andamento della stagione di pesca.
Evolutasi nel Mediterraneo a partire da più semplici sistemi di pesca, la tonnara è un’elaborata trappola (“isola”) fissata in mare aperto e collegata perpendicolarmente alla costa da una lunga rete (“coda”).
Tra maggio e giugno, i tonni rossi convergono verso il Golfo del Messico e il Mediterraneo, dove corrono lungo le acque tiepide delle coste per riprodursi. La “coda” intercetta una parte dei banchi e li convoglia verso l’”isola”: questa è la trappola vera e propria, una complessa costruzione di reti che formano una struttura rettangolare, divisa in grandi “camere” per catturare, controllare e dirigere i tonni verso la fase finale della pesca.
Al momento opportuno, il Ràis ordina il passaggio dei tonni da una camera alle successive, aprendo le reti mobili che le separano, le “porte”.
L’ultima è la camera della morte, l’unica dotata di una rete anche sul fondo. Sollevandola, i tonni vengono portati a galla e uccisi nella catarsi finale della pesca, la mattanza.
50 anni fa i sistemi di pesca industriale, basati sull’avvistamento col radar e la cattura dei banchi di tonni in alto mare, fanno la loro comparsa nel Mediterraneo e iniziano a depredare le ultime riserve mondiali di tonno rosso.

L’ICCAT è l’organizzazione intergovernativa nata negli anni ’60 dopo il collasso delle riserve di tonno rosso nelle coste del Brasile e nel Mare del Nord, per dar vita alla Convenzione Internazionale per la Conservazione del Tonno Rosso. L’ICCAT compila statistiche, analizza e pubblica i risultati sullo stato di salute della pesca del tonno rosso, pubblica le raccomandazioni scientifiche agli stati membri su come meglio gestire questa pesca.
Il problema che mina l’efficacia delle sue risoluzioni sta nella mancata affidabilità dei dati di cattura registrati da ogni stato membro, alla base di ogni considerazione scientifica conseguente. In primo luogo, in ragione della salute delle riserve mondiali di tonno rosso, l’ICCAT fissa annualmente la quantità mondiale massima tollerabile di cattura, assegnando a ogni paese membro la quantità totale ammissibile di cattura (TAC) a lui riservata. Ogni paese, sulla base delle proprie scelte politiche, suddivide il suo TAC tra i vari sistemi di pesca attivi, fino al dettaglio per ogni singolo operatore.
Nel 2015, il TAC riservato all’Italia è di 2.302,80 tonnellate e il governo italiano ha deciso di destinare al sistema tonnara fissa l’8,45% del TAC, contro 87,89% destinato ai sistemi di pesca industriale in alto mare: Palangaro e Circuizione. In Italia dunque le tonnare fisse ammesse a partecipare alla campagna di pesca 2015 sono tre: Isola Piana a Carloforte, Capo Altano e Porto Paglia a Portoscuso, Sardegna sud-occidentale. Nello stesso specchio d’acqua, tre tonnare per sole due ciurme, comandate dagli ultimi due ràis: Luigi ed Ettore, fratelli e figli d’arte.

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Note di regia
Tutto è partito dalla necessità di entrare in un mondo diverso dal mio, una dimensione diversa dalla mia, che procede con le sue regole e i suoi tempi. Avevo in mente le mattanze girate da Rossellini e da De Seta, pure icone. Mi chiedevo: cosa resta oggi delle tonnare? Mi ci sono tuffato dentro, senza difese, come un corpo estraneo, con un forte rischio di rigetto.
Sulla banchina, un portale dà su un grande piazzale lastricato di pietra vulcanica. Sull’angolo a sinistra brilla uno specchio appeso al muro, sopra un lavello oblungo, mi immagino pescatori barbuti che si rasano con la pipa in bocca… Da lì dietro esce un uomo dal fisico massiccio, occhiali da sole scuri, che avanza verso di me. E’ il rais, Luigi, mi offre una stretta di mano vigorosa e un sorriso sicuro di sé. Mi dice, con l’aria divertita: “Ma per caso sei animalista?”. Gli rispondo: “Diciamo piuttosto che sono… animale!”. Ride: “Noi siamo sempre qui, fino a luglio, vieni quando vuoi”.
In tonnara c’è solo il presente: il passato è rimosso, le tensioni verso il futuro abolite. Un mondo rude, sensazioni semplici e pungenti – caldo, spossatezza, pericolo, fame, paura – che mi ripuliscono. Alla fine resta il bianco e nero, regna la luce, i contrasti, i riflessi; l’inquadratura si fissa sui gesti del lavoro; le parole sono rare, quasi assenti. Un cinema primitivo, in qualche modo.
Nodi per cucire le reti tra loro, altri nodi per fissarle alla catena rugginosa destinata al fondo del mare. A terra, il suolo è cosparso di vecchie cime, maglie di catene, frammenti di cavi che si contorcono in vecchi nodi sfilacciati, souvenir delle passate stagioni in tonnara.
Nodi che misurano la velocità in mare, ma anche la velocità della vita in tonnara, rallentata dall’inerzia della natura, dal peso del presente che a volte rende le giornate interminabili.

Tonni
La mattanza di Rossellini e di De Seta non esiste più. I tonni catturati sono venduti vivi, trasferiti in una gabbia e trainati in acque lontane, nelle ranching farm, dove vengono ingrassati in cattività. Solo mesi dopo, saranno uccisi, congelati e spediti via aereo nell’est asiatico. Qui vengono battuti all’asta e consumati come cibo di lusso, a 10.000 kilometri di distanza da quelle popolazioni costiere dove sono stati catturati e di cui furono un tempo una fondamentale risorsa alimentare ed economica.

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info@tratti.org

Sulla banchina, un portale dà su un grande piazzale lastricato di pietra vulcanica. Sull’angolo a sinistra brilla uno specchio appeso al muro, sopra un lavello oblungo, mi immagino pescatori barbuti che si rasano con la pipa in bocca…
Da lì dietro esce un uomo dal fisico massiccio, occhiali da sole scuri, che avanza verso di me. E’ il rais, Luigi. Ha una stretta di mano vigorosa e un sorriso sicuro di sé, mi dice, con l’aria divertita: “Ma per caso sei animalista?”
e io rispondo: “Diciamo piuttosto che sono… animale!”
“Noi siamo sempre qui, fino a luglio, vieni quando vuoi”

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Link Progetto: Il presagio del ragno

Tratti Documentari è lieta di annunciare la partenza di un nuovo progetto:
Nodi, un film documentario di Giuseppe Casu.
Location: Isola di San Pietro
Prima fase di lavoro: Marzo 2013 – Giugno 2013

E’ mattino presto al porto di Portovesme: sotto le ciminiere, le pale eoliche, la centrale elettrica a carbone, sta per partire il traghetto verso l’isola di San Pietro, la si intravede piatta all’orizzonte. Un gruppo di una decina di persone, età media sulla quarantina, sta salendo a bordo: vanno da un’isola all’altra, tessono trame, stringono nodi. Con loro viaggia un’idea di lavoro più a misura d’uomo, a contatto con la natura, tanto antica quanto rivoluzionaria: la pesca del tonno.
Pochi mesi fa è terminato “L’amore e la follia” un film documentario che racconta di un lungo viaggio nel sud-ovest della Sardegna, alla scoperta del recente passato dei Sardi nell’industria mineraria. Nel film si intrecciano le vite di due personaggi, che convergono poi nella lunga lotta di 20 anni fa contro la chiusura delle miniere.
Una lotta persa. Le ultime immagini del film sono in spiaggia, in quello che fu uno dei porti da cui partiva il minerale che, estratto dalle miniere dell’interno, viaggiava verso l’isola di San Pietro per poi imbarcarsi verso il continente, su navi più grandi.
Lungo quella stessa costa, poco più a meridione, sorge il grosso polo industriale di Portovesme, nato per dare un futuro di lavoro a una terra che già 50 anni fa soffriva la crisi e la fine dell’attività estrattiva. Portovesme, che la retorica giornalistica ha già da tempo relegato tra i “mostri di lamiera” e le “cattedrali nel deserto”, è oggi agonizzante. La crisi economica ha accelerato l’emersione delle contraddizioni legate a quella scelta industriale, un grosso nodo puzzolente venuto al pettine…

Mani giovani ma già esperte stringono nodi tra la rete gialla e la corda che deve rinforzarla: si chiama costura, e ogni 4 metri di rete, dal sommo fatto di palloni colorati che galleggiano in superficie, andrà giù 40 metri sotto, fino alla pesante catena che resiste massiccia sul fondo del mare. Movimenti apparentemente ripetitivi per giornate sempre diverse, un mantra da pescatori, gentile e goliardico. Così ci prepariamo alla pesca del tonno. Molti riescono a vedere solo il sangue che scorre il giorno della mattanza… parole che mettono paura: arpioni, camera della morte, e allora parlano di esecuzione. Ma forse è solo il ciclo della vita.

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Per info ed offerte di collaborazione: info@tratti.org