Il desiderio di ritorno nella terra d’origine prende qui la forma di un viaggio spirituale in Sardegna, al seguito di una carovana di artisti di strada. Ma la terra anelata mostra presto ai viandanti le sue cicatrici profonde e i suoi incubi: incontro dopo incontro, il presunto ritorno si fa esodo, cammino in una terra remota guidato dalle tracce di resistenza umana.

In concorso al festival CINEMAMBIENTE
DOMENICA, 2 GIUGNO, ORE 22.00
CINEMA MASSIMO, TORINO

Note di regia
Il desiderio di tornare nella mia terra di origine, lasciata tanti anni fa. La necessità di approfondire le ragioni di un non meglio definibile “senso di appartenenza”, ciò che resta dopo il distacco. Quasi inconsciamente, mi sono ritrovato a cercare queste ragioni tra le diverse forme di resistenza della gente della mia isola, resistenza allo sfruttamento del territorio, a ritmi di vita non condivisi. Negli incontri ho cercato fiammelle di energia pura, in prossimità della natura e col pensiero rivolto agli antenati.
Per compiere e raccontare questa indagine ho scelto l’erranza e mi sono servito di uno sguardo altro, quello di una carovana di artisti di strada, in viaggio con carrozza e cavalli, per incontrare donne e uomini “resistenti”. Da questi incontri è nato qualcosa di nuovo: un esperimento che ha fissato un’immagine sedimentata dentro di me, un’idea del luogo delle mie origini.
Gli spettacoli e la musica hanno accompagnato la discesa all’interno della montagna, l’avvicinamento a una spiritualità legata alla terra e al mare, gli incontri con i resistenti/residenti come Emiliano, che ci porta a un difficile abbraccio ai resistenti/migranti: proprio la loro condizione surreale porta gli artisti ad aprirsi: così Rasid, marionettista rom bosniaco, fuggito quand’era bambino dalla Jugoslavia in guerra, passando per i campi rom; Carlos, cileno sbarcato in Italia a sei anni per fuggire la dittatura di Pinochet. L’ultimo dei resistenti, Erwin, è cileno anche lui, condannato a morte da Pinochet e ancora combattente sull’isola dove vive da trent’anni.
Il mio desiderio di ritorno si è sfaldato, si è trasformato: forse non c’è nessun ritorno possibile, la mia terra d’origine appartiene a quelli che la difendono, a quelli che resistono, a quelli che sono di passaggio ma tengono ben saldi i loro padri sulle spalle.

Regia di Giuseppe Casu

Con Juan Carlos Cid Esposito, Manuela Almonte, Clemente Pozzali, Rasid Nikolic, Maurizio Guzzi, Benjamin Newton, Beppe Puso,
Tore Casanova, Angelo Cremone, Emiliano Vargiu, Chiara Vigo, Erwin Ibarra e gli ospiti dell’antas hotel: Fred, Mamadou, Mannan, Mamun, Promise, Omar, Lassana, Margret, Blessing, Sandra, Ousmane, Tamsir, Sopikul

Produzione
Tratti Documentari, Sitpuntocom sas, Istituto Superiore Etnografico della Sardegna ISRE
in collaborazione con la Babbrica del cinema – Carbonia
con il sostegno di Fondazione Sardegna film commission

Fotografia: Andrea Di Fede, Yukio Unia, Nanni Pintori
Montaggio: Aline Hervé
Suono in presa diretta: Paolo Lucaferri, Gianluca Stazi
Montaggio del suono: Gianluca Stazi
Mix: Riccardo Spagnol
Post Video: Filippo De Nicola, Mauro Zezza

Organizzazione: salvo accorinti, monica grossi, fabio dongu
Location manager: Fabio Dongu – associazione Sonebentu

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Contatti: info@tratti.org

Allora, io sono figlio di un maniscalco, mio padre faceva il maniscalco, qui ad Oristano, proprio dove corre la Sartiglia. Io son nato proprio sotto il portico, abitavamo lì e mio padre lavorava lì.
Ero un bambino e vedevo sempre cavalli, i cavalli che ferrava mio padre, quelli della Sartiglia, questi cavalli grandi, che per me erano grandissimi… però mi sarebbe piaciuto avere il cavallino della Giara, che in Sardegna era quello che si vedeva di più, in quei tempi lì…
montavamo gli asinelli, però non era mai come il cavallino della Giara, e io… è sempre stato il mio sogno fare un qualcosa sul cavallino della Giara.
Guai prima a parlare di un giarino, sembrava… ne parlavano solo per il macello.
Invece qui, io piano piano son riuscito ad averne dai 20 ai 30, come ho attualmente.

un audio documentario di Ornella Bellucci

con: Xhiko Mukaj, Ermal Rapushi, Lisa Çala, Piero Pugliese, Alessandro Leogrande

montaggio e mix: Gianluca Stazi
produzione: Tratti Documentari

traduzioni: Irida Çami e Coralie Bidault

Durata: 22′

 

La sera del Venerdì santo del 1997, una piccola imbarcazione albanese stracarica di profughi, la Kater I Rades, viene speronata da una corvetta della Marina militare italiana al largo delle coste pugliesi. È uno dei più gravi naufragi della storia recente del Mediterraneo: muoiono 81 persone, in gran parte donne e bambini. Molti corpi non verranno mai recuperati, i sopravvissuti sono solo 34.
Il naufragio della Kater I Rades, avvenuto in quel lembo di mare che separa l’Italia dall’Albania, mentre nel piccolo paese balcanico infuriava una sanguinosa guerra civile, segna uno spartiacque nella percezione dei viaggi dei migranti. Per la prima volta, l’applicazione delle politiche di respingimento in alto mare provoca un immane disastro. Un disastro politico, non naturale.
Un lungo processo ha provato a ristabilire la verità, cosa sia effettivamente accaduto la sera del 28 marzo del 1997. Tra mille ombre e depistaggi, un briciolo di verità è stato ristabilito. È stato condannato il comandante della corvetta italiana, è stato stabilita la dinamica dell’impatto (in seguito a un lungo, estenuante inseguimento della carretta del mare da parte di una nave molto più grande), almeno in parte è stato smontato il muro di gomma eretto dai militari. Tuttavia è stato impossibile stabilire la responsabilità (pure evidente) degli alti vertici della Marina che hanno impartito gli ordini di harassment, cioè di “disturbo intenzionale” della navigazione di una imbarcazione di civili che scappavano da un conflitto. Non è stato possibile farlo, perché molte prove sono letteralmente “scomparse”.
Di fronte a questa triste vicenda in cui scompaiono dei corpi, e allo stesso tempo la verità circa la loro morte, l’unica operazione dignitosa è quella di provare a ricostruire come sono andate le cose. Non solo: è importante ricostruire la vita delle persone che erano sulla Kater i Rades. Le voci dei sopravvissuti, il dolore dei parenti, le storie minute di chi fuggiva, i loro sogni, i loro desideri, la loro percezione dell’Italia, del rumore del mare, degli ordini della Marina militare.
Da allora sia l’Albania che l’Italia sono molto mutate. I viaggi dei migranti seguono la rotta Nord Africa-Lampedusa. Non più quella che dall’Albania va verso Otranto e il Salento. Benché l’immigrazione sia tuttora l’evento sociale più importante della nostra contemporaneità, una spessa patina di oblio ricopre ciò che accaduto negli anni novanta, quando tutto cioè ha avuto origine in forme più massicce rispetto ai decenni precedenti.
Per questo, ricordare un evento del genere, farlo rivivere ora, a tanti anni di distanza, vuol dire far irrompere quel passato nel nostro presente per meglio comprendere entrambi. Allo stesso tempo raccontare le storie delle vittime, vuol dire ricostruire la loro dimensione umana, vittima – al di là del naufragio – di una intensa opera di disumanizzazione, che incomincia proprio con il negare la complessità delle loro esistenze, riducendole a meri numeri all’interno dei flussi migratori.

Alessandro Leogrande

Kater I Rades

L’audio documentario “Kater I Rades” è stato presentato in anteprima al festival Teatri di Vetro 7
ed è liberamente tratto dal reportage “Kater I Rades, il naufragio che nessuno ricorda” di Ornella Bellucci, trasmesso da Rai Radio3 dal 26 al 30 marzo 2012.

I testi relativi alle comunicazioni intercorse tra i comandi di terra e le navi impiegate nel Canale d’Otranto il 28 marzo 1997
sono tratti da Il naufragio. Morte nel Mediterraneo” di Alessandro Leogrande (Feltrinelli 2011),
Premio Ryszard Kapuściński, Premio Paolo Volponi e Premio Marincovich.

Gli inserti processuali sono attinti dall’archivio sonoro di Radio Radicale.

Dans la soirée du Vendredi Saint 1997, une petite embarcation albanaise remplie de refugiés, le Kater I Rades, est éperonnée par une corvette de la Marine militaire italienne au large des côtes des Pouilles. C’est l’un des naufrages les plus graves de l’histoire récente de la Méditerranée : 81 personnes meurent, en grande partie des femmes et des enfants. Beaucoup de corps ne seront jamais retrouvés, il n’y a que 34 survivants.
Le naufrage du Kater I Rades, qui s’est produit dans cette langue de mer s’éparant l’Italie de l’Albanie, alors qu’une guerre civile sanglante sévissait dans le petit pays balkanique, marque un tournant dans la perception des voyages des migrants. Pour la première fois, l’application des politiques de refoulement en haute mer provoque une effroyable catastrophe. Une catastrophe politique, pas naturelle.
Un long procès a essayé de rétablir la vérité, sur ce qui s’est effectivement passé la soirée du 28 mars 1997. Entre zones d’ombre et manipulations, un brin de vérité a été rétabli. Le commandant de la corvette italienne a été condamné, la dynamique de la collision (à la suite d’une longue et exténuante poursuite du vieux rafiot par un navire beaucoup plus grand), le mur d’indifférence érigé par les militaires a été, au moins en partie, démantelé. Toutefois, il a été impossible d’établir la responsabilité (quoiqu’évidente) des hautes sphères de la Marine qui ont donné les ordres d’harassment, à savoir de “gêne intentionnelle” de la navigation d’une embarcation de civils fuyant un conflit. Il n’a pas été possible de le faire parce que de nombreuses preuves ont littéralement “disparu”.
Face à cette triste affaire, où des corps disparaissent, en même temps que la vérité concernant leur mort, la seule attitude convenable est d’essayer de reconstruire comment les choses se sont produites. Non seulement cela, mais il est également important de reconstruire la vie des gens qui étaient sur le Kater I Rades. Les voix des survivants, la douleur des proches, les histoires détaillées de ceux qui fuyaient, leurs rêves, leurs désirs, leur perception de l’Italie, le bruit de la mer, des ordres de la Marine militaire.
Depuis lors, l’Albanie comme l’Italie ont beaucoup changé. Les voyages des migrants empruntent la route Nord Afrique-Lampedusa et, non plus celle qui, de l’Albanie va vers Otrante et le Salento. Bien que l’immigration soit aujourd’hui encore l’évènement social le plus important de notre contemporanéité, une épaisse patine d’oubli recouvre ce qui s’est produit dans les années quatre-vingt-dix, alors que tout ceci avait lieu de façon plus massive que lors des décennies précédentes.
C’est pourquoi, se rappeler un tel évènement, le faire revivre maintenant, après tant d’années, signifie faire rejaillir ce passé dans notre présent pour mieux comprendre l’un et l’autre. Raconter les histoires des victimes, signifie également, reconstruire leur dimension humaine, victime –par-delà le naufrage– d’une importante œuvre de deshumanisation, qui commence justement par la négation de la complexité de leur existence, en les réduisant à de simples numéros à l’intérieur des flux migratoires.

réalisation: Ornella Bellucci
montage et mixage son: Gianluca Stazi
production: Tratti Documentari

Documentaire – 2013 – Italy – 22’

Kater I Rades: Script


Link:
NEWS: Kater I Rades
PROGETTO: Racconti Invisibili

un audio documentario di Ornella Bellucci

scrittura: Ornella Bellucci e Gianluca Stazi
montaggio e mix: Gianluca Stazi
produzione: Tratti Documentari

Durata: 18′

 

Ho cominciato a occuparmi dell’Ilva di Taranto nel ’97, a due anni dalla privatizzazione dello stabilimento, svenduto dall’IRI al gruppo Riva dopo oltre vent’anni di gestione pubblica.
La fabbrica di Stato era un’altra cosa: le assunzioni erano a tempo indeterminato, i lavoratori venivano addestrati alla sicurezza, il sindacato era presente. Gli infortuni, i morti sono stati meno, molti meno, di quelli prodotti fin qui dalla gestione Riva. Le malattie professionali, che allora hanno cominciato a insidiare i lavoratori, sono emerse dopo.
Oggi a Taranto il lavoro si concentra ancora nel siderurgico. Vi sono impiegati gli allora giovani che hanno dato il cambio ai padri, incontrando un destino più amaro: contrattuale e di sopravvivenza, all’interno e all’esterno dello stabilimento. Lavoratori tenuti sotto scacco con contratti capestro, mai formati alla sicurezza, riluttanti a contatti con le organizzazioni sindacali (tranne quelle filo-padronali, dall’era Riva maggioritarie in fabbrica). Anni duri, in cui il sindacato – la Fiom Cgil in particolare – è stato presente più di oggi alle loro istanze. E alle prime “storture”, anche certo ambientalismo ha preso a muoversi. Queste parti sociali, negli anni, non hanno coagulato proposte d’insieme: il binomio lavoro-ambiente è difficile da difendere. Anche se il lavoro è precario, invalidante, mortale. E l’ambiente avvelenato, violentato dai costi di quel lavoro. Che però frutta, e molto, alla proprietà. Il gruppo Riva è tra i maggiori produttori dell’acciaio mondiale, ha stabilimenti in tutto il globo. Dal solo sito tarantino – oltre 12 mila dipendenti, e circa 3mila nell’indotto – cava il 70 per cento della produzione: dieci milioni di tonnellate d’acciaio l’anno, più o meno. È tra i maggiori stabilimenti siderurgici europei, oggi sotto accusa per, semplificando, “disastro ambientale”. L’aumento di patologie correlate all’inquinamento prodotto dall’Ilva a Taranto e provincia è vertiginoso, ben oltre la media nazionale. E non risparmia bambini e nascituri.
Era il 2 agosto scorso, a giorni dal sequestro senza facoltà d’uso dell’area a caldo dell’Ilva, quando Taranto – quella Taranto fin lì senza collante, invisibile – è scesa in piazza. C’era stata, sì, la chiamata dei sindacati. E anche gli ambientalisti avevano fatto la loro parte. Ma molte sono state le adesioni personali o poco di più, a quel moto improvviso – di storie, di rabbia – che chiedeva, consapevolmente, la stessa cittadinanza per diritti del lavoro e dell’ambiente. Un moto che, fuori dalla chiamata degli organizzatori e lontano da sigle, si è trovato incanalato nei due cortei – uno per i dipendenti Ilva, l’altro per i lavoratori dell’indotto – sciolti in piazza della Vittoria. Lì i segretari sindacali avrebbero dovuto tenere il comizio, aperto a politici e ambientalisti.

Ornella Bellucci

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“Ilva, c’era una rivolta” è stato presentato in anteprima al festival Teatri di Vetro 7 ed è liberamente tratto dal reportage “Ilva, tra lavoro e ambiente” di Ornella Bellucci, trasmesso da Rai Radio3 dal 15 al 19 ottobre 2012.

Ascolti collettivi:
Roma – Teatri di vetro 7 – 26 aprile 2013
Bellaria – Bellaria Film Festival – 1 giugno 2013
Venezia – Goletta verde – 22 maggio 2013
Roma – Isola del cinema – 4 agosto 2013

Link:
NEWS: Ilva, c’era una rivolta
PROGETTO: Racconti Invisibili

Buonasera mi chiamo Nicola Franco, sono di Taranto. Ho qualcosa da dirvi, in merito a quel problema che è su tutte le bocche degli uomini al momento, quello che si dice in giro, e che è la mancanza di lavoro, la disoccupazione, l’inquinamento e chi più ne ha più ne metta. Anzi a dirla con parole mie, a tutti quanti, tutti quanti: vi stanno portando alla miseria… alla povertà estrema. Tutta la colpa è ’a nostra, cioè ’a nostra… ’A vostra, ’a vostra, perché io non voto, questo è il fatto, io non voto. Lo sai perché non voto? Io sono un pericolo pubblico.

Tratti Documentari è lieta di pubblicare “Il buco nel mare”
audio documentario di Ornella Bellucci,
rielaborato per la sezione “Racconti Invisibili” del Festival Teatri di Vetro (tdv7)

Crediti
con: Nicola Franco e Patrizia Fedele
regia: Ornella Bellucci
montaggio e mix: Gianluca Stazi
musica: Andreas Bennetzen
produzione: Tratti Documentari

Il brano “Half Jazz” è composto da Andreas Bennetzen ed eseguito da Andy Benz.

La fotografia “Alba a Mar Piccolo” è di Sabatino Di Giuliano (Taranto).

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Contestualmente “Lo straniero“, rivista di arte, cultura, scienza e società diretta da Goffredo Fofi, ospita, nella neonata sezione racconti, l’elaborazione in parola scritta de “Il buco nel mare”.

Il testo pubblicato integra due versioni del lavoro, una apparsa sul sito Audiodoc, associazione di audio documentaristi,
l’altra presentata al Festival Teatri di Vetro 7.
Segno che è possibile per una scrittura audio attraversare più linguaggi, restando quel che è, ma anche scoprendosi altro da sé.

Salve mi chiamo Nicola Franco, sono di Taranto. Ho da dirvi una cosa che a tutti quanti credo piacerà: sono un inventore. Vabbè, si dirà, tutti quanti sono inventori, ci sono quelli che fanno le invenzioni, ma io mi sono inventato un’altra cosa rispetto agli altri. Sapete che mi sono inventato? Il buco nel mare. Cosa sarebbe il buco nel mare? Sarebbe un discorso quantomeno da essere ricoverati se lo sentiamo come avviene sto’ fatto qua. Perché è come… Senti, un attimo, ferma.

Io c’avrei da dire un sacco di cose effettivamente diciamo quantomeno da scrostare le coscienze della gente, visto che parlo di un argomento abbastanza serio. La fame. Credo che sia serio, fino a prova contraria.

Mi chiamo Nicola Franco e mi presento a voi in maniera quantomeno, come dire…
La moglie: Aspe’, abbiamo capito.
Aspetta, no, ce l’avevo scritto.
La moglie: Ah, pure?
Eh, sì. Perché non è facile.
Voglio presentarmi a voi in maniera quanto mai insolita, ciò è dovuto al fatto che quello che ho da dirvi vi sembrerà strano, e susciterà uno stupore, quantomeno incredulo, ma posso assicurarvi che è tutto vero e palpabile. Ciò è tutto vero comunque. L’oggetto del nostro campo è il mare. È risaputo da tutti gli addetti ai lavori che in futuro il mare sarà la fonte da cui tra r re sempre maggior nutrimento, difatti i luminari della biologia marina da qualche anno hanno iniziato gli studi, non solo nel nostro paese ma anche all’estero, affinché si trovino soluzioni per economizzare tutto il processo che riguarda, oltre all’alimentazione, anche il modo di allevare i pesci.
Voglio diciamo…
La moglie: L’erba voglio non cresce da nessuna parte.
E infatti, io desidero…

Ti stai presentando. Ma tu chi sei? E perché io dovrei ascoltarti?

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Link:
teatri di vetro
lo straniero
gianluca stazi
andreas bennetzen
sabasan.com
audio doc

“L’AMORE E LA FOLLIA”
con Manlio Massole e Silvestro Papinuto

soggetto e regia: Giuseppe Casu
in collaborazione con Gianluca Stazi

montaggio: Aline Hervé
suono: Gianluca Stazi
fotografia: Giuseppe Casu
musica originale: Difondo
aiuto regia: Paolo Ferri
supporto tecnico: Nanni Pintori
color correction: Ercole Cosmi
traduzioni: Coralie Bidault e Laura Sanna
produzione: Salvo Accorinti (Sitpuntocom) e Didier Zyserman (Zebras Films)
produzione esecutiva: Tratti Documentari

Manlio a 40 anni lascia l’insegnamento per andare a lavorare in miniera ma, per conoscere se stesso e questo nuovo mondo, deve assumere il ruolo più infame: il cronometrista. Ora ha 82 anni.
Silvestro lavora in miniera da quando ha 23 anni, è figlio di minatore, figlio della miniera, fa l’amore con la montagna. Ora ha 61 anni.
I percorsi di questi due uomini, diversi ma paralleli, si congiungono nel ’92, quando si barricano per mesi nella miniera di San Giovanni, minando l’ingresso con l’esplosivo per scongiurarne la chiusura e la desertificazione del territorio.
Ora che le miniere sono chiuse e il temuto deserto avanza, Manlio e Silvestro tentano di trasmetterci un messaggio…

Sono passati vent’anni e sembra storia di oggi. Una storia di lotte operaie, gallerie occupate, speranze deluse: quelle dei minatori della Sim (gruppo Eni) che, il 20 maggio del 1992, si barricano nella miniera di San Giovanni minando l’ingresso principale con l’esplosivo. Una protesta estrema dopo l’annuncio della società di Stato di chiudere i battenti. È il primo di 35 giorni di occupazione.

Quando l’ENI sospende i licenziamenti, tutti tornano a casa, vittoriosi, ma è solo una tregua, qualche mese dopo lʼoccupazione riprende, dura 76 giorni e termina per lo sfinimento degli scioperanti: nessuno viene licenziato ma le miniere chiudono.

Oggi, il tempo delle miniere è custodito nelle gallerie allagate, tra i resti dei villaggi minerari, dietro una barba, tra le pagine di vecchi registri, nelle acque rosse che attraversano le dune, nelle scelte di un maestro, nella voce di una lampada a carburo.
Buio, paga, pericolo, acqua, vagone, laveria, esplosivo, paura, perforatrice, bedaux, occupazione, cronometro, turno, galleria, minerale, pozzo…sono alcune parole che abitano questo passato, seguendole abbiamo incontrato il senso del Noi, la dignità nel lavoro e l’irrefrenabile desiderio di poter lasciare qualcosa di buono ai figli…
quantomeno la storia di chi eravamo.

Gianluca Stazi: regia, registrazioni, montaggio, mix
Giuseppe Casu: scrittura, ricerca e sviluppo, location
Manlio Massole: memoria
Paolo Ferri: supporto tecnico
Grazia Vinci: consulenza artistica

anno: 2012
durata: 30′

Abruxia ha vinto il Premio Marco Rossi 2012
indetto da Radio Articolo 1 con la collaborazione di Audiodoc e il patrocinio della FNSI (Federazione Nazionale Stampa italiana)

Premio giornalistico Sabrina SgangaQuestione di stili 2013
Menzione Speciale:
“Per la cura e la qualità redazionale ed editoriale che rendono il lavoro documentario fortemente evocativo e di grande impatto. Le battaglie sindacali dei minatori della SIM del gruppo ENI, sono ricordate nel viaggio attraverso le gallerie allagate e i resti dei villaggi minerari, in un racconto denso di emozioni e ben articolato che fanno dell’opera un lavoro di grande pregio.”

Passaggi radio:
Radio3 Rai, Il cantiere, il 19 maggio 2012
Radio Flash (Torino, 97.6), 15 ottobre 2012
Radio Kairos (Bologna, 105.85), 17 ottobre 2012
Radio Popolare Roma (Roma, 103.3), 20 ottobre 2012
Radio Beckwith (Torino e Cuneo, 87.80), 20 ottobre 2012
Radio Città Fujiko (Bologna, 103.1), 21 ottobre 2012
Radio Beckwith (Torino e Cuneo), 21 ottobre 2012
Radio Kairos (Bologna) 8:30, 21 ottobre 2012

Ascolti collettivi:
Roma, libreria Anomalia, centro di documentazione anarchica, 26 giugno 2012

Silvestro lavora in miniera da quando ha 23 anni, è figlio di minatore, figlio della miniera, fa l’amore con la montagna. Ci conduce dentro la miniera, all’interno di un fornello: ci porta nei suoi luoghi segreti e inaccessibili, fino a rendere un suggestivo omaggio a quella che per lui è stata un “padre”:

Nos narraus unu fueddu: a ki mi ‘ona pani du tzerriaus babbu. Chi mi dà pane lo chiamiamo babbo.

Ora che è tutto chiuso, ora che il deserto avanza, Silvestro, a 61 anni, continua a viaggiare nelle gallerie delle miniere abbandonate e a raccontare la sua storia.

Gianluca Stazi: regia, registrazioni, montaggio, mix
Giuseppe Casu: scrittura, ricerca e sviluppo, location
Silvestro Papinuto: memoria
Paolo Ferri: supporto tecnico
Grazia Vinci: consulenza artistica

Antonina ha vinto il premio miglior documentario radiofonico al Bellaria Film Festival 2012

Festival:
Bellaria Film Festival 2012 – premio miglior documentario radiofonico
Prix Bohemia Radio 2012 – in concorso
Across the vision film festival 2012 – anteprima

Passaggi radio:
Radio Flash (Torino, 97.6), 8 ottobre 2012
Radio Kairos (Bologna, 105.85), 10 ottobre 2012
Radio Popolare Roma (Roma, 103.3), 13 ottobre 2012
Radio Beckwith (Torino e Cuneo, 87.80), 13 ottobre 2012
Radio Città Fujiko (Bologna, 103.1), 14 ottobre 2012
Radio Beckwith (Torino e Cuneo, 87.80), 11 ottobre 2012
Radio Kairos (Bologna) 8:30, 14 ottobre 2012

Ascolti collettivi:
Iglesias – Across the Vision Film Festival – 9 marzo 2012
Bellaria – Bellaria Film Festival – 1 giugno 2012
Roma – libreria Anomalia, centro di documentazione anarchica, 26 giugno 2012
Cuneo – Q.I. centro di aggregazione giovanile – 22 novembre 2012
Torino – Casa Mad Torino (Vedere Voci) – 26 novembre 2012
Milano – Film Maker Fest – 7 dicembre 2012
Firenze, Vivaio del Malcantone – FKL [Forum Klanglandschaft] – 12 aprile 2013

silvestro square

Link:
News su “Antonina”
Progetto: tratti in miniera